Sorridente, creativo, libero. Capace di creare immediatamente con il proprio interlocutore un clima rilassato e piacevole. Un vero Maestro di Aikido insomma. Forte dei suoi oltre cinquant’anni di esperienza sulla materassina, lo Shihan Gianni Gioconto ha accettato di rispondere alle domande di KNN su quattro temi specifici.
A lui esprimiamo la nostra stima e un sentito ringraziamento per la disponibilità dimostrata.
E grazie sempre a Francesco Ingemi per i consigli e le foto.
UKEMI
Beppe raccontava che il Maestro Yoshigasaki si è sempre riferito a te come “il miglior ukemi” ed effettivamente osservando alcuni filmati pubblicati dal Maestro Maule del vostro periodo Aikikai non si può non constatare la tua capacità atletica. Dubito però che Sensei si riferisse solo a quella. Allora le domande sono due. Quando passasti nella Ki No Kenkyukai trovasti un approccio diverso da parte del Maestro Tohei e del Maestro Yoshigasaki rispetto al modo di fare Ukemi? E soprattutto alla luce dei tuoi anni di esperienza, quali sono le qualità di un buon Ukemi?
Per fare Ukemi una base atletica è certamente indispensabile, ma non è l’elemento che fa la differenza. È essenziale la propensione al miglioramento, una sorta di generosità nei confronti della pratica nel suo complesso, per la quale non è importante dimostrare la propria bravura come Uke, ma la possibilità di sviluppo dell’arte che si sta facendo. È necessario impegnarsi per mettere in risalto l’interazione con Nage e non semplicemente la performance personale.
Quando si riesce a dare meno evidenza a sé stessi per lasciare spazio all’espressione della bellezza del “tutto”, ecco che si sta facendo senz’altro bene Ukemi.
Poi c’è un altro passaggio ed è quello che ho vissuto quando sono passato dall’Aikikai alla Ki No Kenkyukai. Praticando con il Maestro Tohei e con il Maestro Yoshigasaki, mi sono reso conto che quello che facevo non era sufficiente e per quanto fossi considerato un buon Uke, ho dovuto in un certo senso ricominciare a imparare daccapo. Ho dovuto lavorare per diventare un Uke “reale”. Dico “Reale” nel senso di “vero” cioè non semplicemente un Uke disponibile a essere proiettato a comando. E su questo punto il Maestro Tohei prima e soprattutto il Maestro Yoshigasaki dopo, mediante degli esempi pratici, hanno lavorato molto.
Spesso nel fare Ukemi infatti, il rischio è quello di trasformare la pratica in una sorta di recita in cui chi attacca viene istruito in modo puntuale sulla propria parte e cerca quindi di rappresentarla al meglio, ma tutto finisce lì. Non si cresce, ma si rimane confinati in una forma precostituita. E di conseguenza non si permette all’arte di svilupparsi. Poi il tempo passa, a poco e poco si perde la qualità fisica necessaria e alla fine spesso si smette.

Quando si riesce a dare meno evidenza a sé stessi per lasciare spazio all’espressione della bellezza del “tutto”, ecco che si sta facendo senz’altro bene Ukemi.
Vedi, nel Ki Aikido c’è un sacco di gente che ha sulle spalle cinquant’anni di pratica o quasi. Cosa che a mia notizia non succede nelle altre scuole. Quando senti parlare di trent’anni di pratica, si tratta già di eccezioni che spesso sono diventate dei super maestri. Al contrario nel Ki Aikido è assai facile trovare un praticante con un’esperienza di questo genere. Ecco perché anche i nostri gradi sono diventati così alti. Talvolta sento delle critiche su questo punto, sul tema dei Dan troppo elevati, ma dopo talmente tanti anni di pratica? Trovo naturale che il Maestro dia dei gradi elevati.
Tornando quindi all’inizio del ragionamento, posso dire che la dimensione atletica passa certamente in secondo piano rispetto a quella della “realtà”. E questa è una lezione che io ho imparato nella Ki No Kenkyukai.
Tu avrai avuto certamente modo di vedere il Maestro Yoshigasaki fare Ukemi…
In svariate occasioni! Quando il Maestro Tohei mostrava “ufficialmente” un Tsuzuki Waza era sempre il Maestro Yoshigasaki a fare da Uke. Ecco, Sensei Yoshigasaki è un Ukemi di quelli veri, asciutto, senza fronzoli. Senza nulla in più di quanto necessario a esprimere correttamente il momento della tecnica. Senza dubbio, un buon Uke. E guardandolo ho imparato molto.
BUKI – WAZA
Nel corso degli anni, tu come altri Shihan, ti sei dedicato alla realizzazione di forme con le armi alternative rispetto a quelle “canonizzate” nei Tsuzuki Waza. È un processo creativo che richiede esperienza e una certa dose di coraggio, che invidio molto. Secondo quale criterio hai sviluppato le “tue” forme? (Ad esempio, hai preso semplicemente spunto dai kata del Ki Aikido oppure c’è dell’altro?) E qual è in particolare lo scopo per il quale le hai realizzate?
Onestamente non ho preso spunto dai Tsuzuki Waza esistenti, anche se i movimenti con le armi inevitabilmente sono quelli: Yokomenuchi, Shomenuchi, Tzuki…è ovvio quindi che poi li ritrovi in pieno. Anzi, l’impulso iniziale è nato proprio dall’esigenza di rendere più facilmente accessibili e chiari i movimenti di base. Ti faccio un esempio: Tzuki. Allenandosi facendo soltanto Tzuki, senza un esercizio specifico per prepararlo, mi accorgevo che la maggioranza degli allievi agitava in aria il Jo, ma senza una reale comprensione e profondità nel movimento. C’era “movimento”, ma privo di uno scopo realmente chiaro (privo di Ki potremmo dire, NdR). Poco per volta ho iniziato allora a individuare degli esercizi utili a sviluppare profondità nel gesto. Ho raggruppato poi questi esercizi in modo da avere un effetto globale sufficientemente armonioso e sono nati così dei Tsuzuki Waza con le armi.
Queste sequenze, prima di prendere dignità di Tsuzuki Waza, solitamente passano al vaglio di svariate prove, sono sottoposte a svariati test. Quando gli allievi le accettano non come un’imposizione, ma cogliendone l’utilità, allora è perfetto.
Ad esempio, ho realizzato un Tsuzuki Waza con il Jo che praticamente è nato da solo. Ho iniziato mettendo insieme tutti i movimenti con il bastone: Yokomenuchi, Shomenuchi, Tzuki, Ushiro-Tzuki, l’attacco dal basso verso l’alto e il taglio circolare. Li ho ordinati poi in una sequenza logica di 12 tecniche che consentisse di praticare rapidamente e semplicemente tutti i movimenti di base. A questa sequenza ho aggiunto poi la possibilità che ci fossero più Ukemi ad attaccare ed è nato un Tsuzuki Waza con quattro o otto partner. Ma non sono partito con l’intenzione specifica di creare qualcosa del genere: è venuto da sé naturalmente.
Ho visto che il Maestro Yoshigasaki non è mai intervenuto su queste iniziative e perciò mi sento di dire che non sono dannose e che posso continuare su questa strada.
Approfitto per sottoporti una curiosità che ho sempre avuto e che forse tu puoi soddisfare: nel Ki Aikido noi studiamo il Jo contro il Jo, ma si tratta di movimenti derivati o assimilabili a quelli del Bo, mentre nell’Aikikai praticano delle forme Kumi-Jo in cui le armi si muovono entrambe secondo la logica del bastone corto. Perché nel Ki Aikido non è stata creata alcuna sequenza del genere?
Bastone contro bastone è una pratica che in Giappone non ha mai avuto una vera dignità di “arte marziale”: è sempre stato considerato una sorta di gioco da bambini o comunque un combattimento non consono ai Samurai. E pertanto si è sviluppato poco. Il Maestro Saito ha utilizzato molto il bastone in questo senso, ma più come Suburi o come Kumi Jo che come Tsuzuki Waza. Il lavoro consiste quindi nella ripetizione di esercizi individuali o nella pratica di forme in coppia separate le une dalle altre non di sequenze basate su una logica di cambiamento e di passaggio da una situazione all’altra come appunto i nostri Tsuzuki Waza.

Poco per volta ho iniziato allora a individuare degli esercizi utili a sviluppare profondità nel gesto. Ho raggruppato poi questi esercizi in modo da avere un effetto globale sufficientemente armonioso e sono nati così dei Tsuzuki Waza con le armi.
Una cosa che mi ha sempre affascinato della scuola di Saito sono le tecniche nelle quali Nage usa il Jo per proiettare l’altro, ma non come nel nostro Jo Nage, dove il bastone viene afferrato da Ukemi, bensì lo manovra ad esempio infilandolo nell’incavo del gomito di Ukemi per guidarlo…Anche quella è una pratica che non ho mai visto nel Ki Aikido.
Prima dell’ingresso nella Ki No Kenkyukai sia io che gli altri Shihan più anziani abbiamo tutti praticato questo genere di forme e personalmente ogni tanto mi ritrovo a proporle. Chiaramente più in forma di gioco che di pratica vera e propria. Però talvolta, se utilizzati con accortezza e intelligenza, sono didatticamente utili per trasmettere determinate informazioni. Ovviamente per inserirli in una lezione ci vogliono un minimo di conoscenza e di esperienza personali.
AIKIDO IN REAL LIFE
Tu non sei solo un Maestro di Aikido, ma hai sempre tenuto il tuo lavoro di lavoro di imprenditore e nel corso degli anni, credo con grande sacrificio, sei riuscito a portare avanti un doppio percorso. Il Maestro Tohei ha parlato di Ki in Daily Life e il Maestro Yoshigasaki di Aikido in Real Life. Che valore ha avuto per te la pratica nella tua vita lavorativa fuori dal tatami?
Direi che c’è stato un equo travaso tra un’attività e l’altra. Ognuna delle due mi dato qualcosa permettendomi di fare meglio l’altra. Ad esempio, ritengo che nel tempo, grazie all’Aikido, sia assai migliorata la mia capacità di comunicazione e di relazione con i clienti. D’altra parte, credo che approcciarsi all’insegnamento di un’arte marziale “da imprenditore” permetta una serenità assai utile: si sa che cosa vuol dire gestire un’organizzazione, avere un progetto, svilupparlo, comunicarlo, supportare le persone che si hanno intorno. E poi creare una relazione duratura tra i diversi Dojo del proprio gruppo, che sia basata sul rispetto reciproco. Tutti questi sono elementi che un imprenditore deve necessariamente imparare.
Il Ki Aikido però insegna una cosa altrettanto importante per un imprenditore e cioè che non sempre si può vincere. Pertanto, è necessario prepararsi al meglio anche nei confronti delle eventualità più difficili. Che in altre parole significa creare le condizioni dentro sé stessi per dirsi: “ok, facciamo tutto il possibile”. Del resto, le cose cambiano di continuo e in maniera repentina, basta vedere quello che è successo quest’anno!
IL FUTURO
La pandemia e l’emergenza sanitaria, indipendentemente dalla luce che oggi intravediamo in fondo al tunnel, hanno rappresentato uno spartiacque per tante cose. Come vedi il futuro del Ki Aikido dopo il COVID?
Penso che bisognerà tornare alle origini e quindi alle lezioni in presenza. Tutte le opportunità che ci sono state offerte dalla tecnologia digitale e dalla rete sono sicuramente degli ottimi palliativi, utili a stimolare e mantenere l’interesse, ma non possono sostituirsi alle lezioni in presenza.
sicuramente sono e sono stati utili a mantenere dei rapporti tra le diverse realtà e trovo altamente positivo il fatto che proprio mediante questi strumenti gli istruttori si mantengano in contatto, sviluppino iniziative e si diano da fare in prospettiva della riapertura.
Per quanto mi riguarda, con Maurizio Volpe, stiamo già pianificando delle lezioni all’aperto per i primi del nuovo anno. All’inizio dell’emergenza sanitaria temevo che ci sarebbe stata una perdita di interesse maggiore e invece da quello che vedo e sento in giro i diversi gruppi stanno per lo più tenendo. Dobbiamo solo avere pazienza e vedere cosa succederà quando potremo finalmente ricominciare, ma mi sento fiducioso!