Premetto che non so giocare a scacchi. E quindi forse sono un po’ pretenzioso a voler scrivere questo articolo, esprimendo teorie su qualcosa che conosco assai poco. Conosco le regole del gioco, ma non so giocare. Mi definirei un 7° kyu della scacchiera. Però gli scacchi mi affascinano molto, invidio la capacità strategica che hanno i giocatori di immaginare il futuro: mosse e contromosse, variabili e probabilità.
Mi affascinano talmente tanto che da tempo, durante i miei tragitti da pendolare, gioco spesso in treno sullo smartphone, contro il software oppure on line. I risultati sono abbastanza deludenti, ma non demordo.
Una delle domande che ha iniziato a punzecchiarmi spesso, durante queste innumerevoli partite, è stata se la filosofia della nostra scuola, quella cioè per cui aikido è “creare una situazione in cui l’attacco non succede”, potesse applicarsi al gioco degli scacchi.
Esisterà un modo, mi sono chiesto, per arrivare ad una situazione di ai-nuke? Una combinazione per cui entrambi i giocatori non subiscano perdite, ma non possano continuare a giocare?
Tralascio qui volutamente qualsiasi considerazione rispetto al confronto con gli scacchi giapponesi (o meglio cinesi): il go e alle differenze di approccio strategico che caratterizzano i due giochi, ma mi sono detto: “chissà?
Probabilmente sì, nei milioni di possibili combinazioni, una ne esisterà.” Ho fatto delle ricerche dall’esito infruttuoso e ammetto pure di averci provato personalmente…con esiti se possibile ancora più disastrosi di quelli abituali!!!
Inizialmente pensavo che il problema principale fosse quello dello spazio. Limite che ho sempre ritenuto proprio anche dell’aikido. E’ più facile creare una situazione di non-attacco se si ha molto spazio a disposizione. Ne seppe qualcosa Napoleone durante la campagna di Russia: è difficile vincere contro un nemico che ha spazio a sufficienza alle spalle per arretrare senza combattere, ma anzi lasciando combattere la natura al posto suo.
Questa considerazione mi ha fatto pensare alle gare di kumite del karate, in cui uno dei contendenti (a pari livello di esperienza e capacità ovviamente) può scegliere di arretrare e non attaccare, ma per questo può finire per ricevere un’ammonizione con la conseguente perdita di punti. Mancando di “stare” nel combattimento infatti, non permette all’avversario di portare le tecniche.
Nel gioco degli scacchi per regola i pedoni possono solo avanzare e, in generale, ritengo di poter dire che tenere una linea eccessivamente “attendista” non può che condurre ad un drammatico tracollo.
Del resto perché uno che sale su un ring o gioca una partita a qualsiasi gioco dovrebbe farlo con l’intenzione di “non combattere”? Lo fa solo quando vuole mantenere un vantaggio eventualmente già conseguito in termini di punteggio (e di qui il senso delle ammonizioni). Perché l’ovvio obiettivo di chiunque affronti una competizione è quello di vincere, a qualsiasi costo.
Sono sempre più convinto che sia difficile, se non impossibile, applicare una strategia di non combattimento ad una “effettiva” situazione di combattimento. Non trovarsi in quella situazione, uscirne prima possibile, agire prima che succeda…questo a mio avviso deve essere il lavoro di chi pratica aikido.
E non è semplicemente una questione di spazio. Quando qualcuno ci attacca, si può creare una situazione di ai-nuke anche in uno spazio ristretto…è l’intenzione dell’aggressore a fare la differenza. Se vuole vincere a tutti i costi, dopo il primo tentativo andato a vuoto cambierà tattica e continuerà ad attaccarci. Per questo è fondamentale anticipare quell’intenzione e se possibile evadere dalla situazione di conflitto, prima di trovarsi rinchiusi nei quattro lati di una scacchiera.
Molti anni fa, quando sono andato al dojo per la prima volta a prendere informazioni sui corsi, sul volantino c’era scritta una cosa bellissima, che mi ha attratto e che ho sentito subito mia: l’aikido non insegna a vincere, insegna a non perdere.
Per il momento però mi devo arrendere: negli scacchi l’unico modo che ho per “non perdere” contro i miei avversari virtuali è soltanto provare a vincere. Facendomene una ragione delle inevitabili perdite che ogni guerra, seppur – raramente nel mio caso – vinta, comporta.
A tal proposito concludo con la bella leggenda sulla nascita degli scacchi. La storia narra che un re indù per vincere un’importante battaglia, aveva dovuto compiere un’azione strategica in cui il figlio aveva perso la vita. Da quel giorno il re non si era più dato pace e, tormentato, aveva preso a riflettere continuamente sul modo in cui avrebbe potuto vincere senza sacrificare la vita del figlio: tutti i giorni rivedeva nella sua mente lo schema della battaglia, ma senza trovare una soluzione. Un giorno si presentò al palazzo un bramino che, per rallegrarlo, gli propose un gioco che aveva inventato: gli scacchi. Il re si appassionò al gioco talmente tanto che iniziò a giocarlo continuamente e, a forza di partite, trovò la risposta alla sua domanda.
Capì che non esiste il modo di vincere una battaglia senza sacrificare almeno un pezzo.