Quest’anno per Pasqua anziché rimanere in Italia a mangiare l’agnello, complice il seminario del Doshu, ho deciso di andare a Berlino (qui l’album su Flickr) e, dato che le tradizioni sono tradizioni e grazie soprattutto alla squisita ospitalità dei nostri ospiti Sigrid e Gustav, l’agnello c’è scappato comunque.
Il seminario, riservato ad istruttori e cinture nere, si è svolto al Ki & Aikido Dojo Berlin, ottimamente situato nel quartiere di Wedding, a due passi dall’omonima stazione della metropolitana (U-Bahn) dalla quale, con la linea U6, si può arrivare in poche fermate a Friederichstrasse, vicina sia al Pergamon Musem che alla porta di Brandeburgo.
Da italiano che vive a Firenze (400 mila abitanti, circa) la cosa che mi ha impressionato maggiormente di Berlino (oltre 4 milioni di abitanti) è l’estrema raggiungibilità di qualsiasi punto della città mediante treni, trenini e tram che passano letteralmente ogni minuto.
Un’altra cosa che un italiano nota andando a Berlino è che… è pieno di italiani!
Appena atterrati all’aeroporto di Tegel all’ufficio informazioni ci accoglie un ragazzo dal cognome e dall’accento inglese fortemente italiano.
Venuti via dall’aeroporto, in 10 minuti di tram (biglietto 2.70 € usabile anche per metro, prego prendere appunti), più un paio di fermate di metro e 20 minuti passati ad orientarci nelle strade del quartiere vicino al dojo ho contato almeno 10 italiani.
Questo senza considerare l’enorme numero di pizzerie e ristoranti, la prima cena berlinese è stata nel ristorante “bei Pino” (da Pino).
Purtroppo nel tempo che ho passato a fare il turista ho fatto anche in tempo a vergognarmi per una mia connazionale che dopo essersi lamentata perché a Berlino, anche nei monumenti, i bagni si pagano, ha cercato in tutti i modi di far saltare la fila alla figlioletta di 7-8 anni ripetendo come un mantra “ti costringono ad essere maleducati” (sic), mentre la bambina calpestava piedi e sbuffava. Che bell’avvenire.
Ma veniamo al seminario. La pratica si è articolata dal 25 al 28 Marzo e durante l’ultima lezione serale si sono tenuti anche alcuni esami (per la precisione chuden, nidan e yondan).
Il dojo che ha ospitato l’evento offre un bel tatami, mantenuto in perfette condizioni ed ancora abbastanza ruvido da provocare qualche bruciatura se non si fa attenzione durante gli scivolamenti, devo dire che rotolarci è stato un vero piacere.
La sala di pratica è molto luminosa ed ariosa, grazie ad una parete di finestre decorate che danno su un cortile circoscritto da un gruppo di palazzi che garantiscono un buon isolamento sonoro rispetto ai rumori della strada anche durante il giorno.
Lo spazio a disposizione e l’elevato numero di partecipanti (credo non meno di 30) ha richiesto una certa attenzione e la divisione in gruppi durante la pratica, soprattutto durante quella con jo e bokken. D’altronde anche la gestione dello spazio che ci circonda è Aikido.
La pratica, è stata sempre molto intensa ma, nonostante ciò, è stato piuttosto comune vedere persone rimanere sul tatami sia prima che dopo le lezioni regolari. Questo tipo di contatto totale con il luogo di pratica è per me uno degli elementi più stimolanti nei seminari di più giorni, tanto che in genere devo essere tirato via dal tatami di peso.
Questa volta la scusa per rimanere a praticare è stata quella di aver avuto l’occasione di fare ukemi per uno degli esami (yondan) evenienza sempre particolarmente stimolante.
Le lezioni sono state come al solito ricche di spunti sui quali lavorare, uno dei leitmotif che mi è sembrato di cogliere è stata l’importanza dell’immaginazione e la differenza tra questa, che assomiglia ad un video e le singole immagini mentali, che sono più simili a dei singoli fotogrammi.
Secondo Elliot Erwitt il punto fondamentale di una fotografia è scattarla in modo che poi non ci sia bisogno di spiegarla con le parole, mentre Ansel Adams più semplicemente diceva: “una fotografia è come una barzelletta, se devi spiegarla non è venuta bene“.
Una sola fotografia quindi in un certo senso mostra secondo determinate sfumature e sensibilità un singolo momento e lo fa senza porvi alcuna etichetta verbale. In questo, a mio modo di sentire risiede la differenza tra un fotogramma singolo ed una sequenza continua, ogni fotogramma induce un contesto per il successivo e ne facilita la comprensione.
Un altro elemento che ho annotato mentalmente è stata una interessante riflessione sulla differenza tra sentire il Ki, cosa di cui bene o male si può essere capaci in maniera “naturale” e vedere il Ki, cosa per la quale invece serve un certo allenamento, o come minimo un livello di comprensione non comune. Probabilmente il concetto di “vedere” in questa accezione include in parte anche l’atto di riconoscere mentalmente: l’occhio vede ciò che la mente riconosce.
Un mio amico, con cui condividevo la passione per l’Aikido oltre a quella per il rock degli anni 60-70, citando gli Who avrebbe detto:
See me, feel me, touch me, heal me
Chiudo questo primo report, sperando che possano seguirne molti altri, con una foto che ho scattato in una via di Berlino, un semplice striscione esposto ad un balcone, un segno ed un’idea che sono contento di essermi portato a casa da quest’esperienza.