Prima di ogni seminario ho sempre grandi aspettative. Durante il viaggio esamino di nuovo alcuni principi, provo una comprensione del momento degli ultimi concetti, ripasso le ultime tecniche ,mi preparo alla nuova lezione. Eppure ogni volta, dopo, c’ è un inaspettato passo in avanti che mi divide fra sorpresa e disagio e si traduce in uno slancio per affrontare un nuovo inizio. Metto a fuoco nuove sfumature, riconosco quello che non so, sono alla ricerca di un nuovo stato.
Incontro vecchi praticanti, amici,vedo qualche volto nuovo. Da poco manca una voce che fa pesare la forza del “ sound of silence”; serve più ki per sostenere certe mancanze e far crescer la pratica della “via”.
Una giornata di stage dà sempre molto materiale su cui lavorare e riesce a renderci più consapevoli, ad approfondire o rivoluzionare i concetti di pratica quotidiana. La parte più complessa, per me, è appropriarmi dei concetti, elaborarli in modo personale così da poterli sviluppare con le mie esperienze. Nella lingua greca la parola esperienza -empeira è composta da en/in che significa dentro e peira-prova per dire che con l’ esperienza si è in grado di saggiare all’ interno la realtà, in questo caso, l’ aikido. Non serve trasferire solo nozioni, diventare un “bignami” dello stage. La nostra pratica è fatta di relazioni, le prime da costruire sono fra i nostri molti “se”, la prima vittoria, la più importante , è quella su noi stessi capaci, sempre , di sostenere le sfide.