Per raccontare del tradizionale Gasshuku organizzato dal Ki Dojo di Firenze voglio partire da una foto che ho fatto durante la passata edizione che si è tenuta nella splendida cornice dell’Isola Polvese, sul Lago Trasimeno. Un’esperienza faticosissima a causa del gran caldo e dei due giorni di pratica intensa, ma assolutamente meravigliosa.
Nella foto (a sinistra) si vedono tre persone che, immagino, molti dei lettori di questo post conosceranno direttamente o indirettamente. Con il jo, impegnato in un pezzo del secondo kata didattico c’è Adriano, che nemmeno la disabilità riesce a tenere lontano dalla pratica costante e continua, con il bokken invece c’è Marco, che ha guidato il Gasshuku di quest’anno, e sullo sfondo c’è Beppe che ci ha lasciato non molto tempo fa.
Mi sento di dire che l’edizione di quest’anno, sebbene profondamente diversa, sia stata altrettanto meravigliosa ed ora cercherò di spiegare il perché.
Per motivi organizzativi quest’anno è stato necessario rinunciare alla pratica all’aperto e, come non succedeva da ben 4 anni ormai (in quel caso si trattò di un violento nubifragio che colpì la Toscana), la pratica si è svolta all’interno del Ki Dojo.
L’evento è durato più o meno 7 ore durante le quali né i praticanti, provenienti da varie località (Bologna, Arezzo, Fossombrone e Chiusi per dirne alcune) né chi ha guidato la pratica si sono risparmiati per un attimo. Tema di studio è stata l’interazione tra jo e bokken approfondita attraverso i due kata didattici introdotti negli ultimi anni dal Doshu.
E’ singolare notare come la varietà di interazione tra jo e bokken sia data proprio dalle differenze e dalle peculiarità dei due strumenti, uno più lungo di cui sono sfruttabili entrambe le estremità e l’altro dal raggio più corto ma letale se si arriva a distanza di taglio.
La pratica è stata un vero piacere e trovare tante persone che magari non si incrociano durante la regolare pratica settimanale è stato anche meglio se possibile, ma questo seminario personalmente mi ha lasciato qualcosa in più.
Tempo fa mi è stata riferita una frase, attribuita al Maestro Tohei che diceva più o meno “Io non morirò mai… finché sarò vivo!”, può sembrare un semplice paradosso, ma in realtà introduce un concetto di presenza, di qui ed ora, tanto importante da essere considerato più importante del concetto stesso di vita e di morte.
Insomma, a costo di voler semplificare eccessivamente: essere presenti.
Se c’è qualcosa che mi hanno insegnato gli ultimi mesi trascorsi nel mondo dell’Aikido (e non solo) è che non si può veramente dare niente per scontato, ogni cosa è un dono o, per ricollegarmi ad una discussione avvenuta durante il party e che tirava in ballo Terzani, una buona occasione. Per conto mio c’è un’idea che mi frulla in testa da qualche settimana: fintanto che ci sarà un tatami io intendo rimanerci sopra.
Io non morirò mai, finché sarò vivo (K.Tohei)
Dico questo perché il Gasshuku di quest’anno è stato particolare, in quanto è stato il primo seminario ad essere tenuto al Ki Dojo senza chi del dojo (e non solo) è sempre stato il cuore e l’anima oltre che la guida. Mai come in questa occasione il presente ha richiesto la partecipazione e l’impegno di tutti, fino all’ultimo praticante.
Sarò sicuramente di parte in queste mie valutazioni, ma parte essenziale dell’opera di Beppe è stata di costruire un gruppo di amici, che è stato in grado di rispondere degnamente, da ogni punto di vista, anche in sua assenza. Inoltre, proprio l’esistenza di un tessuto umano vivo ha portato diversi praticanti a partecipare ed a venire a Firenze anche da altri dojo, semplicemente per esserci e questo a mio avviso rappresenta una ricchezza enorme.
Mi piace pensare che Beppe ne sarebbe stato contento.