Prima di lasciarvi alla lettura dell’intervista, ci tenevo a fare una piccola premessa che forse potrà farvi entrare meglio nel clima che si è respirato in questo weekend Marchigiano.
La mia storia con il dojo di Fossombrone comincia nel 2009, in un periodo un po’ particolare della mia vita. Il mio Maestro mi propose di accompagnarlo, per un seminario, in questo posto vicino ad Urbino che non avevo mai nemmeno sentito nominare: io gli chiesi “Chi ci pratica lì?” e lui mi rispose semplicemente “Amici”.
Da allora sono tornato ogni anno in quel dojo e, sempre, ci ho trovato persone che mi hanno fatto sentire a casa e che mi hanno accolto come uno di famiglia.
Questa volta l’occasione per tornare nel Montefeltro è stata un seminario piacevolissimo ed intenso tenuto dalla Shihan Renata Carlon che, con la consueta gentilezza, a fine pratica ci ha offerto l’occasione per fare una chiacchierata riguardante alcuni dei temi trattati sia dentro che fuori dal tatami
Ecco come è andata.
K: Come è avvenuto l’incontro col maestro Tohei e quando ha iniziato a praticare Aikido?
R: L’Aikido l’avevo iniziato 10 anni prima di conoscere Tohei, ero già cintura nera, poi affascinata dal pensiero che un allievo diretto del fondatore venisse in Europa sono andata ad un suo seminario in Francia con altri italiani. In seguito a questo incontro questo gruppo ha fondato il Ki Aikido in Italia.
K: Lei ieri ha parlato della relazione tra l’uomo e la sua esistenza, può raccontarcelo di nuovo?
R: Molte volte ci chiedono cos’è l’Aikido, e nelle mie lezioni io cerco di spiegare anche cos’è la Vita, che per me è un viaggio che si percorre cercando sempre una strada. Io però mi sono voluta interrogare anche su cos’è l’Uomo e sullo scopo della sua esistenza. Se esisto è importante e fondamentale cercare di lasciare un’impronta: la mia idea è realizzare la Vita attraverso qualcosa che voglio lasciare.
Non è il grado a dare la saggezza, è l’idea del percorso a darmi la saggezza. Lo scopo della Vita e l’attitudine.
K: Shihan vuol dire “colui che insegna attraverso l’esempio”, secondo Lei quale è la differenza tra uno Shihan ed un insegnante?
R: Non trovo nessuna differenza. Non è un grado o un titolo che fa cambiare la mia esistenza, io esisto come uomo dal momento della nascita, poi vivo ed attraverso le esperienze della vita posso diventare magari Shihan, se il maestro lo decide, ma non è quello a definire la persona che sono. Io posso essere un insegnante normale di palestra ed essere più preparato di un altro che ha il grado di Shihan. E’ l’esperienza personale che se viene messa a disposizione degli altri ti permette di diventare Shihan, a qualsiasi livello. Può essere anche un allievo ad essere più saggio di me. Non è il grado a dare la saggezza, è l’idea del percorso a darmi la saggezza. Lo scopo della Vita e l’attitudine.
K: Quindi l’idea è che un praticante di Aikido deve lasciare una impronta positiva anche fuori dal tatami?
R: Certo. Soprattutto in questo periodo storico cerco nella persona la sua moralità e la sua etica, questo mi colpisce molto di più che non la sua tecnica.
K: Tornando all’idea del percorso, ci può parlare di che relazione c’è tra la ricerca del proprio percorso e l’autenticità?
R: Diventare autentici attraverso il percorso dici?
K: Esatto.
R: Solo quando sei proprio onesto, onesto, onesto, con te stesso e con gli altri puoi trovare il tuo percorso e l’autenticità. Non puoi mascherarti. Anzi diciamo che in questa disciplina devi toglierti tutte le maschere. Per cui prima c’è da fare un grande lavoro su di te e poi può esserci un lavoro sugli altri. Quando mi sono liberata di tutte le maschere posso dire qualsiasi cosa.
K: Questo ha a che vedere con il rispetto per se stessi di cui parlava ieri?
R: Certo, perché la prima cosa è conoscere se stessi ed amare se stessi. Allora trovo la libertà interiore e mi libero da tutte le sovrastrutture, poi posso andare verso gli altri liberamente.
K: E secondo lei perché l’Aikido aiuta particolarmente questo lavoro?
R: Aiuta perché c’è l’aspetto del corpo ma anche della mente e c’è la respirazione, la meditazione, tutto questo mi accompagna costantemente, anche fuori dal tatami.
La Vita è Amore e quindi anche l’Aikido deve essere Amore
K: Proprio riguardo al percorso, ci siamo posti una domanda: rispetto al passato prevalgono dojo relativamente piccoli, ed in questi gruppi troviamo spesso persone di età diverse e di gradi diversi che lavorano assieme, talvolta questa situazione può essere difficile da gestire, come si può conciliare questo aspetto?
R: Beh questa è la grande difficoltà di fare lezione [ride]. Io non posso mai preparare a casa una lezione, perché magari penso a qualcosa pensando ad una situazione, ma arrivata in classe poi ne trovo una diversa. Devo approcciarmi alla classe, cercare di capire di cosa hanno bisogno, per cui non è tanto che io faccio lezione, ma piuttosto la facciamo tutti insieme. C’è una comunicazione, per cui dobbiamo essere in contatto ed è proprio grazie a questa interazione che tutti possono contribuire alla lezione a prescindere da età e grado.
K: Come diceva lei, gli allievi entrano nel maestro e viceversa.
R: Certo, perché poi è là che parte tutto, ieri hai visto come è finita la serata? Io qua ho visto Amore, la Vita è Amore e quindi anche l’Aikido deve essere Amore. Loro [i ragazzi che hanno preparato la cena per tutti i praticanti ndr] hanno fatto una grande lezione di Aikido ieri sera, più di quelli che hanno praticato. Quei ragazzi che hanno lavorato là hanno dato una grande lezione, bellissima, che non ho mai visto in altre situazioni. Quello per me era l’Aikido! Dobbiamo essere contenti se siamo in grado di comunicare quello, al di là della tecnica che è pure fondamentale come primo passaggio, ma poi lo scopo va oltre la tecnica: il radunarsi, il saper stare insieme. Ecco la qualità di saper radunare può essere molto importante per un dojo.
K: Veniamo ora ad una tematica di cui abbiamo parlato anche ieri sera prima della cena, quanto è stato e quanto è difficile essere un insegnante donna in un mondo molto maschile?
R: Bisogna essere un po’ matti, davvero. C’è voluto un grande entusiasmo, non so da cosa viene quest’entusiasmo, ma qua lascio fuori i problemi del quotidiano. Ritorno a vivere ogni momento ed ogni momento è come vivere per la prima volta, mi è capitato di affrontare anche delle difficoltà certamente, ma mi sono messa in gioco ogni volta. Oramai non mi interessa il grado più di tanto, il grado me lo danno gli altri, ogni giorno.
Come affronti la Vita affronti l’Aikido. Non c’è differenza
K: Lei sul tatami fa un lavoro che mette molta enfasi nell’aiutare le donne (e per la verità non solo le donne ndr) a trovare una strada.
R: Infatti, se io sono qua, sono qua per loro, anche se magari loro non sempre lo capiscono. Perché mettersi in gioco alla mia età non è facile, ma voglio lasciare il messaggio che si può fare, si può arrivare, si può ottenere, sempre. Ci vuole il suo tempo perché occorre che le cose avvengano naturalmente e senza forzature, bisogna fidarsi della natura perché la natura non sbaglia mai.
K: L’Aikido come la Vita ha le sue fasi e non sempre è semplice riuscire a comprenderle, anzi spesso anche solo provarci porta confusione.
R: Come affronti la Vita affronti l’Aikido. Non c’è differenza. Quando tu non senti differenza tra qua e fuori, sei libero. Avrai delle difficoltà, come tutti gli insegnanti ce l’hanno, ogni sera che salgono sul tatami. E’ una cosa dura, perché è un impatto, ma al momento del saluto deve essere il momento che poi ti dimentichi tutto. Fai quello che ti viene da dentro, deve uscire qualcosa di tuo. Chiaramente uno si prepara con cura, studia al meglio, ma poi lascia che avvenga, non si deve mai forzare le cose, devono avvenire.
C’è un momento che… è come un’illuminazione. Anche giorno per giorno possiamo essere illuminati, magari perché hai detto la cosa giusta nel momento giusto ad una persona che aveva bisogno di quello, con una parola hai magari aiutato una situazione anche grave. Avvengono queste cose nella Vita sai, te lo dico io!
K: Grazie!
R: Grazie a voi!
E grazie anche agli amici di Fossombrone!