Torna l’estate e con lei, immancabile, l’idea di fare aikido al parco.
Ogni fine giugno io sto messo più o meno così: tra lezioni di fine anno ed extra-time preparatori degli esami, arrivo all’inizio dell’estate che guardo alla pausa con un certo piacere. Infatti, la prima settimana dopo la chiusura dell’anno scolastico scorre via rapida, segnata dal gradevole senso di libertà dall’impegno bisettimanale del dojo. Poi mi torna la voglia.

Ombre nell’oscurità…
E per fortuna non solo a me. Così con il gruppo degli irriducibili iniziano le serate al parco.
Fino a quando ho praticato in pianta stabile ed esclusiva al Ki Dojo di Firenze l’esigenza non c’era. Il Ki Dojo non chiudeva (e non chiude) mai: si praticava perfino d’agosto. E quando eravamo nella vecchia sede, addirittura senza aria condizionata. Vero che eravamo in un sottosuolo, che il clima è cambiato, che sono cambiati i tempi e insieme a loro forse pure i praticanti…ma basta! Non voglio indulgere nell’amarcord, ma solo raccontare che da quando, una decina d’anni fa, ho iniziato ad insegnare in una struttura comunale che con la fine di giugno chiudeva i battenti, sono iniziate le mie estati di aikido al parco.
Inizialmente l’idea mi entusiasmava. Sì, perché veniva incontro ad un desiderio di superare quello che dentro di me ho sempre vissuto come un limite della pratica. Ovvero la necessità del tatami.
Mi dispiaceva infatti che una cosa così bella come l’aikido dovesse rimanere confinata dentro un luogo chiuso e non potesse essere praticata all’aria aperta.
Pensavo al taiji, al qi gong e alla capoeira, praticati abitualmente nei giardini pubblici, o addirittura per la strada. Con il tempo mi sono reso conto che, tatami o no, probabilmente l’aikido possiede un DNA assai meno “pubblico” di altre discipline (salvo occasioni appositamente stabilite); infatti, arte nata da un’elite (quella dei samurai) e infarcita alle sue origini di concetti mistico-religiosi, meglio si addice ad uno spazio distinto dal mondo, riparato da occhi indiscreti o disinteressati. Il paradigma del tempio, direi.
Ma sia come sia, non c’è scelta. A luglio si va a praticare al parco. Ecco allora alcune poche semplici riflessioni, figlie dell’esperienza di questi anni.
Prima di tutto è essenziale scegliere un giardino pubblico (o una zona di un giardino pubblico) che non sia troppo frequentata. Sempre quando ero giovane e ingenuo pensavo che la pratica all’esterno potesse anche rappresentare un buon veicolo pubblicitario (mi portavo dietro addirittura i volantini…). Tragico errore.
Se scegliete un prato minimamente di passaggio il meglio che vi può capitare sono bambini urlanti che vi fanno il verso sbeffeggiandovi, cani che abbaiano e pensionati proprietari dei cani incuriositi; l’ipotesi peggiore sono combriccole di giovinastri che non disdegnerebbero di attaccar briga per verificare l’efficacia di quello che state facendo o che alla vista del bokken commentano: “Oh, hai visto? C’è Tom Cruise, l’ultimo samurai…”
E’vero che il ki deve rimanere imperturbabile nelle condizioni tempestose (e pure un po’ foriere di giramenti di palle) della real life, però insomma…
A proposito, prima di iniziare a praticare è fondamentale ispezionare il terreno. Dice qualcosa del genere pure Sun Tzu. Tralascio gli ovvi motivi.

I boschi di Hokkaido? No. Bologna, giardino del Ghisello.
L’orario può essere d’aiuto a scansare la folla, ovviamente valutate l’illuminazione.
Jo e bokken sono i protagonisti indiscussi della pratica estiva. Occhio a giocarseli bene, però. Primo e secondo kata, primo e secondo kumitachi, ecc. sono belli, bellissimi, anche molto divertenti. Solo rappresentano una parte del nostro lavoro. Le insalate sono molto amate in estate: quanti mangerebbero volentieri le stesse quattro-cinque insalate per tutto il mese di luglio?
Può aiutare quindi – come sempre del resto – un po’ di creatività, meglio se unita a una competenza interdisciplinare, che consenta di sparigliare le carte e di proporre verdure e condimenti nuovi.
E infine, anche per ovviare al problema precedente: sperimentare l’aikido senza cadute.
Purtroppo è vero. O si è dei folli (come il sottoscritto), che hanno fatto ukemi praticamente su qualsiasi superficie oppure il tatami è indispensabile. E del resto non sono sicuro faccia benissimo cadere sul duro (seppur di un prato) per un paio d’ore di seguito.
Da anni il maestro Yoshigasaki si sta dedicando allo studio dell’aikido senza cadute. Nelle sue proposte ci sono molte cose che mi convincono e altre, lo ammetto, che mi convincono meno, ma, in linea generale, l’aikido senza cadute rischia sempre di essere…noioso!
Eh sì, perché la caduta rappresenta comunque il modo più armonioso, dinamico e divertente di concludere una tecnica. Oltretutto l’aikido senza cadute, nei modi in cui lo studiamo da qualche tempo, è generalmente piuttosto statico.
La sfida quindi può essere quella di provare realizzare un aikido senza cadute che sia dinamico e potente, caratterizzato da un momento finale della tecnica preciso, ma armonioso. E gratificante sia per nage che per ukemi.
Pertanto anche in questo caso il consiglio è quello di mettere al lavoro un po’ di fantasia e di fare un po’ di esperimenti.
Buona estate di pratica all’aperto a tutti!