Per il secondo anno consecutivo il mio seminario estivo con il Maestro Yoshigasaki è stato quello in Foresta Nera. La scelta è stata dettata unicamente dalla coincidenza con il periodo di ferie, ma è stata sicuramente fortunata, vista la presenza di un po’ di amici italiani, in particolare il mio maestro, Davide, e i ragazzi dell’Associazione “Ronin” di Vercelli.
Ma andiamo con ordine. Il seminario si svolge in un centro sportivo sulla cima del Monte Herzogenhorn. Il paesaggio è bellissimo e la struttura niente male; oltretutto per i praticanti sono disponibili piscina e sauna. Sfortunatamente a questi indubitabili pregi fanno da contrappasso due difetti piuttosto significativi, in particolare per noi italiani: si mangia a orari incredibili (la cena è alle sei del pomeriggio!) e la qualità del cibo non è strepitosa.
Avendo fatto l’anno scorso l’esperienza del centro sportivo, con Giorgia abbiamo deciso questo giro di cucinarci per conto nostro (con le vettovaglie portate da casa stile emigrante) e agli orari che più ci erano graditi. Pertanto abbiamo prenotato alla Zeller Skihütte, un rifugio consigliato dagli organizzatori del seminario a 5 minuti di auto dal tatami.

La cucina del rifugio
Le camere della hütte sono spartane, ma l’atmosfera è particolare: popolato per una settimana per lo più da praticanti tedeschi e da pochi altri europei, il rifugio ha come spazi comuni una grande sala da pranzo e la cucina, messa a disposizione degli ospiti.
Cucinare tutti insieme può essere complicato, ma non è spiacevole: richiede una buona capacità di gestione di spazio, tempo e risorse in condivisione con altre persone. Un buon allenamento nella vita quotidiana, insomma. Tra l’altro con una certa sorpresa noto che la maggioranza degli ospiti cucina italiano. Nulla di strano, mi si dirà: siamo o non siamo universalmente riconosciuti come la patria del mangiar bene? E del resto, che non li cucini tu i wurstel? E’ vero. Perciò metto da parte il mio iniziale snobismo gastronomico (un tedesco che cucina i ravioli?!? Saranno buoni, per carità, però…) e prendo atto dell’avvento definitivo della globalizzazione culinaria.
D’altra parte nel dopocena, conversando con gli altri ospiti di politica, società e di mercato del lavoro, si rafforza in me la convinzione che italiani e tedeschi vivano in un contesto socio-economico molto più simile di quanto crediamo o vogliano farci credere.
Alla hütte si possono poi invitare anche persone esterne. E così, in capo a due giorni, gli italiani che soggiornano altrove la sera diventano di casa, promotori di piacevoli scambi culturali a base di cibo e alcolici. Sempre allo scopo di coltivare unità e armonia universale, ci mancherebbe.

Live concert per le strade di Freiburg
Il mercoledì pomeriggio solitamente è libero e uno dei riti del seminario, almeno per gli italiani, è il giro a Friburgo, a meno di un’ora dalla montagna. Il centro è grazioso e, trattandosi di una città universitaria, anche piuttosto vitale.
Altra gita alla quale non abbiamo potuto sottrarci è stata quella alla pasticceria del paesino di Feldberg. Se Se la Foresta Nera è considerata un luogo mitico, credetemi, non è solo per via delle leggende di elfi e folletti, ma anche per merito delle sue torte, che quanto a gusto e dimensioni sono davvero epiche.
L’ultimo rito del seminario è la festa di chiusura del venerdì sera, che si tiene su al centro sportivo. La sala che ci ospita è austera, ma c’è la musica e in meno di un’ora parecchi sono già al centro della stanza che ballano e il clima si fa subito allegro e giocoso.
Ok, lo so. Qualcuno a buon titolo potrebbe chiedermi: “Vabbè, ma l’aikido? Finora quest’articolo sembra una puntata di “Alle falde del Kilimangiaro””…
In effetti sì, abbiamo fatto anche aikido.

Judo in the morning
E neanche poco. Il seminario è stato lungo e intenso: una settimana di pratica mattina e pomeriggio. E’ iniziato con l’introduzione di un nuovo esercizio a terra e una curiosa incursione nel mondo delle immobilizzazioni del judo (che le Olimpiadi in tv siano state fonte di ispirazione?), è proseguito lavorando sui programmi di primo, secondo e quarto dan, a beneficio degli allievi che dovevano sostenere gli esami durante la settimana. Lavoro impreziosito dallo studio della versione “street-aikido” di molte tecniche.
Non sono poi mancate lezioni su taiso, respirazione, misogi, kenko-do, i test…ma è inutile ripercorrere con la memoria tutto quello che abbiamo fatto. Tanto lo sappiamo: i ricordi sono immaginazioni.
E a tal proposito posso dire di aver concluso la settimana con due “immaginazioni” molto precise.
La prima riguarda il Maestro Yoshigasaki. Una delle critiche che da molti anni gli vengono mosse è di parlare troppo durante i seminari. Per molto tempo anch’io mi sono unito al coro di queste critiche.

Lo street aikido rende tutti più allegri…
Ultimamente ritengo che le sue lezioni siano più equilibrate, ma non è questo che mi interessa dire. Quello che voglio dire è che oggi capisco meglio il suo intento di costruire una nuova teoria per il ki-aikido, una teoria che apra le porte a nuovi sviluppi della pratica.
Forse è presto per fare delle valutazioni al riguardo, ma nel frattempo, personalmente, sono felice che il mio Doshu sia un vero filosofo. Filosofo nel senso antico del termine, ovvero “amante della sapienza” e quindi studioso di tutto ciò che attiene all’uomo e al suo mondo. Un maestro che esprime una consapevolezza che definirei “socratica”, quella che lo porta ad affermare “io sono sbagliato”.
E così le sue parole, le sue digressioni, i suoi “cos’è…?” formulati a bruciapelo agli studenti in prima fila hanno un potere maieutico. Le sue teorie possono annoiare, lasciare spiazzati o perplessi, ma anche instillare dubbi e spingere gli allievi a diventare curiosi e approfondire.
Esattamente quello che un buon insegnante deve fare.
La seconda immaginazione riguarda l’apprendimento. Che è un processo collettivo e dinamico. Il lavoro fatto durante questo seminario con i miei compagni di pratica – anche al di fuori dell’orario di lezione – mi ha convinto che l’apprendimento è una scoperta, che nasce dall’incontro e dal confronto continuo.
Mi direte: “L’hai scoperto solo ora?” Forse sì, forse ci sto arrivando davvero solo adesso.
Bisogna mettere da parte l’orgoglio e ammettere di essere “sbagliati”. Citando, ma stravolgendo un po’ le parole di Al Pacino nel discorso prima della partita finale di “Ogni maledetta domenica”: “o noi siamo capaci di apprendere come collettivo, o resteremo ignoranti come individui.”
Ed è bello e giusto che sia così. L’incontro tra i praticanti è un’alchimia. Come quella che si realizza tra gli ingredienti di una ricetta di cucina ricca e saporita.
Ovviamente italiana!
Foto di Giorgia Bellentani e Francesco Ingemi