“Beginner’s mind is zen mind” recitava un vecchio detto, ovvero la mente del principiante è la mente Zen.
Recentemente mi sono trasferito poco fuori Firenze in una zona incantevole e ricca di verde, per cui spesso mi ritrovo a fare un po’ di strada per tornare a casa dopo le mie sessioni sul tatami.
Ad esempio Venerdì sera esco dal dojo che è già piuttosto tardi per via di qualche chiacchiera scambiata negli spogliatoi, monto in macchina e mi dirigo in direzione casa, sono a digiuno dalla tarda mattinata e con una settimana intensa di lavoro alle spalle. Per non pensare al buco che ho nello stomaco la mente mi riporta indietro di circa 15 anni, quando fresco studente universitario, squattrinato e senza alcun mezzo di trasporto, uscivo dal tatami tre volte la settimana alle 22 e, dopo aver preso due autobus (il primo alle 22.40 ed il secondo circa un’ora dopo), rientravo a casa non prima che la mezzanotte fosse abbondantemente passata. Questo ovviamente quando le corse non saltavano o quando non le perdevo.
Sarò stato anche molto giovane ma ai tempi questo tour de force, che è durato fino a quando non ho potuto comprare una ruspantissima utilitaria tedesca 4 o 5 anni dopo, non lo vivevo come un peso, era semplicemente parte della mia normale prassi di allenamento. Oggi, complice il passaggio ai trenta ed una routine lavorativa consolidata, probabilmente affrontare tutti quei disagi tre volte la settimana mi sembrerebbe follia pura.
Diversi anni dopo Beppe, il mio maestro, mi offrì l’occasione di tenere un corso di Aikido in una palestra di Pontedera, più o meno ad un’oretta di macchina da Firenze, ero ancora nei venti (sembra passato un secolo), già in odore di chuden e soprattutto ero alla mia prima esperienza di insegnamento in completa autonomia.
Insegnare fuori città significava che in una settimana tipo sarei tornato a casa dopo mezzanotte una o due volte e che avrei dovuto comunque continuare a praticare due o tre sere nel “mio” dojo, per non perdere il contatto con l’apprendimento e col mio maestro. Nonostante tutte le difficoltà del caso presi l’occasione al volo facendo dei salti anzi degli Zemponage di gioia.
Di quel periodo ricordo che i miei allievi, anche quelli più in là con gli anni, mi chiamavano “maestro” e la cosa mi sembrava immensamente buffa, perché è il caso di dire che chi ha imparato un’infinità di cose nuove in quell’esperienza, sono stato proprio io.
La mente del principiante è un foglio bianco, assorbe ed impara, ma soprattutto ha una percezione delle difficoltà piuttosto relativa e forse anche per questo è disposta ad ogni sacrificio pur di superare scogli ed avversità. Questa attitudine nella pratica è una risorsa che non può essere sostituita da niente, nemmeno dal talento o da un ottimo maestro.
Sentirsi principianti ogni tanto può sembrare più facile, pensiamo ad un seminario del Doshu, ma anche in quel caso c’è da stare attenti. Come si dice da tempo infatti, il lavoro di un seminario non finisce con il saluto dell’ultima lezione, anzi comincia proprio in quel momento e continua quando ci si ritrova con i propri compagni di pratica a cercare di ricostruire, talvolta dopo settimane, gli spunti che si è riuscito a portare a casa. L’attitudine personale in questo processo è fondamentale ma per dare risultati deve essere duratura.
La mente del principiante dunque è necessaria anche e soprattutto nella pratica quotidiana, quando gli stimoli cominciano ad esaurirsi e si rischia di cadere nella ripetitività miope della routine.
In quasi tutti i dojo di Aikido è da poco ricominciata l’attività e come ogni anno dopo le vacanze estive si torna sul tatami. La passata stagione per me e per molti altri praticanti è stata particolare e quindi mai come in questo nuovo inizio sento il bisogno irrinunciabile di mantenere la mente del principiante perché le prove che verranno saranno importanti e difficili, più del solito.
Voglio prendere in prestito le parole di uno scienziato (un fisico) che è stato uno dei più importanti teorici dell’informatica moderna (suo è l’algoritmo usato oggi da google maps) e che esprime in questo modo una sua versione dell’aneddoto Zen della tazza di the che tutti conosciamo:
Avere a che fare con una novità radicale richiede un approccio ortogonale. Bisogna considerare il proprio passato, le proprie esperienze ed abitudini, come sfortunati incidenti di percorso ed occorre approcciarsi alla novità con una mente vuota, rifiutando consapevolmente ogni tentativo di riportarla a ciò che ci è familiare, perché ciò che ci è familiare è drammaticamente inadeguato. (E.W. Dijkstra – On the cruelty of really teaching Computer Science)
Buon anno da principiante a tutti.