Qualche giorno fa mi è stato chiesto: “quanto è durata la preparazione del tuo esame di Ki?” Ridendo gli ho risposto che Beppe avrebbe detto che gli esami di Ki non si preparano o che era sufficiente praticare meditazione e respirazione. Molto più onestamente, ho dovuto ammettere che avevo preparato l’esame per circa un mese e mezzo, lavorando approfonditamente su ciascun test con il mio maestro.
E sono contento di essermi “allenato” in questo modo. Lavorare sui test non vuol dire studiare i trucchi per passarli. E’ un metodo di lavoro – il nostro metodo di lavoro – che ha un valore intrinseco e degli effetti ben precisi.
Una premessa da ricordare è che le posizioni che testiamo sono finalizzate esclusivamente alla vita quotidiana. Non hanno lo scopo di migliorare l’efficienza fisica. Sono posizioni banali e poco impegnative, che però attraverso il test educano il corpo e la mente a trovare stabilità e naturalità nei gesti e nelle situazioni di tutti i giorni.
Qualche mese fa avevo scritto un articolo in cui esprimevo i miei dubbi rispetto ai test di Ki. Oggi mi sento di poter dire che, almeno in parte, quei dubbi si sono dipanati.
Il primo dubbio, il principale, riguardava la metodologia di esecuzione. Se il test rappresenta uno strumento di verifica, per esserlo in modo onesto dovrebbe essere “standardizzato”. Il che prevedrebbe che tutti i praticanti venissero ugualmente indottrinati su come eseguire un test (1-appoggiare la mano, 2-applicare una spinta progressiva, 3-non spostare il peso, ecc.) in modo che la prova non risultasse falsata.
Fortunatamente però non siamo macchine fatte in serie che si analizzano reciprocamente in laboratorio. E’ chiaro che i test non sono degli spintoni a casaccio e che devono avere un senso, ma attendersi che effettuati da persone diverse abbiano più o meno sempre le stesse caratteristiche, ad esempio lo stesso grado di forza o accelerazione, è illogico.
Ma è davvero possibile superare un test senza fare nulla?
Quando riceviamo un test, il lavoro è totalmente “interno”. Se la posizione che è corretta i nostri muscoli entrano in una relazione che permette loro di adattarsi e gestire la spinta senza contrapposizione. Si fa quindi senza fare oppure non si fa nulla facendo qualcosa. E’ un’operazione profonda che coinvolge davvero mente e corpo. Con il tempo quest’esperienza diventa più naturale, fino a sentire sempre meno la reazione dei muscoli. Il praticante realizza una consapevolezza nuova del proprio corpo e del proprio modo di essere. I test hanno infatti il grande valore aggiunto di essere contemporaneamente uno strumento di verifica e un mezzo di comunicazione, che permette a chi li riceve di entrare in contatto con sé stesso.
E sono realmente lo strumento di comunicazione più efficace?
Quante volte, prima di testare il nostro compagno, ad una prima occhiata abbiamo pensato: “ah, la sua postura è evidentemente sbagliata”. Con il tempo e l’esperienza infatti si diventa capaci di giudicare l’altro soltanto osservandolo. A quel punto potremmo usare la parola per correggerlo (“stai più dritto”, “rilassa le spalle”, ecc.), ma diventerebbe un percorso meramente intellettuale e fondamentalmente manipolatorio. Obbligheremmo il nostro compagno a inseguire l’immagine della forma che abbiamo in mente. Quindi è sempre meglio non usare la parola. Attraverso il test dobbiamo cercare di dare al nostro compagno un’informazione precisa, permettendogli di fare una scoperta su sé stesso. L’abilità sta nello scegliere quello più adeguato. L’esperienza ci viene incontro: nell’esempio più banale, se uno è in piedi con il peso troppo in avanti lo spingiamo da dietro.
Infine l’ultimo dubbio, questo sulla pratica del Ki in generale. Abbiamo detto che i test permettono a chi li riceve di acquisire un’informazione sulla forma del proprio corpo, ovvero sulla propria postura. Ma il lavoro sul corpo può essere esclusivamente “mentale”?
Lo Shin Shin Toitsu Do è caratterizzato da serie di esercizi (Kenko Taiso, Sotai-Ho e Seitai-Ho) che hanno proprio la finalità di migliorare il lavoro funzionale del corpo. Anche qui si tratta di esercizi poco impegnativi, che devono essere praticati e approfonditi perché risultino efficaci.
E nei casi nei quali l’esercizio fisico non basta? Ad esempio per chi ha un handicap?
In quei casi la faccenda si fa più complessa e raffinata. E’ necessario trovare un modo diverso di mantenere mente e corpo unificati. Per superare il test le posizioni vanno modificate, più o meno leggermente. Il che, in un certo senso, equivale a dire trovare il modo di giocare la partita con le carte che si hanno in mano. Trovare il proprio modo di vivere.
Due settimane fa ho fatto l’esame Okuden. Mi hanno detto che “Okuden” vuol dire “comprensione profonda”, ma anche “ciò che nascosto”. In ogni caso rimanda a qualcosa che sta al di sotto della superficie.
Nel mio caso non posso dire di aver avuto accesso a chi sa quale livello segreto di comprensione della pratica. Posso però dire di aver scoperto qualcosa in più se me stesso.
La sera che entrai per la prima volta al Ki Dojo, ormai purtroppo molti anni fa, rimasi affascinato dalla pratica dell’Aikido, ma soprattutto colpito da quella del Ki. Nel corso degli anni, poi, la bellezza del nostro Aikido e il piacere di praticarlo mi hanno portato a concentrarmi soprattutto sullo studio delle tecniche, lasciando da parte quello dei test. Oggi sento di voler tornare alle origini o forse a ciò che sta in profondità. Del resto il Ki Aikido non esisterebbe senza lo studio del Ki: Shin Shin Toitsu Do.
Negli ultimi anni che ho vissuto a Firenze, quando arrivava al dojo qualcuno a fare la lezione di prova, quasi sempre Beppe lo chiamava fuori e gli faceva provare il test con le braccia su. Il malcapitato alzava le braccia perplesso, sorpreso riceveva la spinta e quasi sempre veniva mosso. A quel punto Beppe gli diceva scherzosamente che aveva alzato le braccia con l’aria di uno che sta pensando: “chi sono-dove sono-che ci faccio qui?”
Penso che i test di Ki possano offrire delle risposte interessanti a queste domande.
Un grazie ad Andrea Marcione per le foto!
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