
Un Maestro ne conduce un altro…
Chiedete ai vostri amici che praticano un’arte marziale. Ognuno di loro vi dirà di aver incontrato un Maestro che gli ha cambiato la vita.
Ma che cos’è un Maestro?
Un Maestro è un “senza-nome”: la sua identità non conta perché il suo ruolo prevale sulla sua vicenda personale. E anche se nel momento della lezione confidenzialmente possiamo usarne il nome (tranne nel caso del Maestro Yoshigasaki, ci mancherebbe), sarebbe meglio chiamarlo Sensei. E tanto dovrebbe bastarci.
Sensei è “colui che è nato prima”. Ma non in senso anagrafico. La sua figura incarna il sapere, l’ha assimilato al meglio ed è in grado di sfruttarlo tanto da poter sovrapporre la propria figura all’insegnamento stesso. Ma non è un bacino di conoscenza passiva. Non è un ripetitore o un vaso che è stato riempito e che sua volta si “svuota” dentro gli allievi: per essere Maestro deve trasmettere il proprio bagaglio di sapere tradizionale ed esperienza propria.

Sensei Yoshigasaki
Un bravo insegnante infatti è colui che sa suscitare nell’allievo l’immaginazione di nuovi mondi unita al desiderio di esplorarli. In Oriente come in Occidente.
I padri del teatro del Novecento, ad esempio, parlano di un rapporto di trasmissione che va ben al di là dell’insegnante che impartisce agli allievi una lezione, oltre la verbalizzazione scritta e la trasmissione orale nel semplice rapporto faccia a faccia. La conoscenza che esprime il Maestro è spesso recepita attraverso la percezione, sempre più allenata, attraverso il corpo, il movimento, il gesto. In questo rapporto di trasmissione, l’allievo non è carta bianca, pronto ad assorbire linee e colori del Maestro. Di una tradizione ci si appopria, la si acquisisce e la si interiorizza.
Emilio Vedova, docente di pittura all’Accademia di Venezia, quando vedeva un alunno bloccato di fronte alla tela bianca, immergeva uno spazzolone in un secchio di colore e imbrattava completamente la tela: “Adesso sei libero – gli diceva – forza, lavora!”. Il blocco del foglio vuoto è spesso il complesso del troppo pieno: nel bianco lo studente vedeva tutti insieme i pittori, le scuole, le tecniche che lo avevano preceduto e che gli impedivano di lasciar fluire la sua creatività personale.
Il regista e fondatore dell’Odin Teatret, Eugenio Barba, descriveva il rapporto tra Maestro e allievo come una passione amorosa, una vera storia d’amore. Il Maestro viene definito come “colui che si rivela per sparire”, che conduce l’allievo verso una solitudine senza guide che non è sofferenza, ma anticamera creativa.
In questo senso la nostra arte, il Ki-Aikido, è unica perché consente all’allievo di esprimere questa creatività non solo nell’ambito dell’arte stessa, ma in quello ben più ampio e importante della vita quotidiana.
Scritto con la preziosa collaborazione di Scilla Bonfiglioli.
Per la foto del Maestro Tohei e di Beppe Ruglioni sensei: https://www.facebook.com/giuseppe.ruglioni?fref=ts