Questa settimana sono inziati gli esami di maturità. Del resto giugno è il mese degli esami per eccellenza. Molti corsi finiscono e arrivano le serate dei passaggi di grado. E’ un momento “tipico” di ogni scuola di arti marziali. Ma qual è il senso di un esame in una scuola di arti marziali come la nostra? E’ una verifica? La certificazione di competenze tecniche acquisite oppure di una presenza mentale adeguata? Che cosa rende un esame “bello” e meritevole di promozione?

Il ripasso degli ultimi giorni…
Domande come queste vengono naturali a chiunque prepari un esame. Del resto non stiamo parlando di prove universitarie o di concorsi statali o appunto della maturità. Il nostro è pur sempre (e per fortuna) un hobby! E un tratto peculiare della nostra scuola (e della didattica del maestro Yoshigasaki in particolare) alla fine è quello di non imporre agli allievi uno standard tecnico da replicare pedissequamente.
Alcuni criticano questo tipo di approccio “ultra-democratico”, sostenendo che non produce qualità nei praticanti, ma genera invece prove d’esame talvolta bislacche o scadenti e soprattutto tecnicamente diversissime tra loro.
Su quest’ultimo aspetto ovviamente pesa anche la disomogeneità degli allievi che praticano: le età e le capacità fisiche in un corso di aikido per adulti sono assai diverse. Qualcuno può essere troppo adulto o fisicamente poco adeguato per fare certe cose. O semplicemente troppo imbranato.
Ma se le cose stanno così, ha senso avere un programma di esami associati a dei passaggi di grado? Io sono ancora convinto di sì. Perché ritengo che ognuno di noi debba essere innanzitutto uguale a sé stesso e perché penso che siamo proprio noi stessi gli esaminatori più severi da convincere.
In un’arte marziale nella quale non sono previste competizioni infatti il momento dell’esame è uno dei pochi in cui mettersi alla prova, affrontando i propri demoni, primo fra tutti quello di doversi mettere in mostra davanti ad altri.

Prove roventi!
Tra questi “altri” inevitabilmente c’è anche l’esaminatore. E, nei casi in cui non è il maestro del dojo nel quale si pratica, l’esame diventa una delle rare e preziose occasioni di contatto e attenzione che un sensei di alto livello dedica interamente a noi.
E’ un momento che richiede necessariamente una fase di preparazione e la preparazione su un gruppo definito di tecniche o di test permette all’allievo di focalizzarsi su di esse e di conseguenza sulle proprie peculiarità. In un certo senso l’esame è come un vestito: la preparazione ci consente di confezionarcelo addosso su misura, di vedere come ci sta e ci mette allo specchio di fronte ai nostri pregi e difetti.
Il bello è che questo lavoro non lo si fa mai da soli, ma sempre nell’ambito della pratica del dojo, che vede tutti coinvolti nella preparazione degli esami, candidati e non. Un lavoro di squadra che fa crescere tutti e crea sintonia tra le persone.
Anche nel dojo che frequento a Bologna si stanno preparando degli esami. Era da tempo che non venivo coinvolto così pesantemente nel ruolo di “tutor” per alcune parti. Mi sono reso conto che nel momento della preparazione, la cosa migliore che un istruttore può fare non è pretendere di modificare l’impostazione tecnica del candidato, ma cercare di capire il suo punto di vista, rispettarlo e dargli le dritte giuste per valorizzarlo. In poche parole aiutarlo ad essere sé stesso (il sé stesso di quel momento) al meglio.
Complimenti a tutti i promossi e in bocca al lupo a chi ancora deve fare!