Oggi mi sono imbattuto in un video che mi ha ricordato una storia che sicuramente moltissimi praticanti di Aikido conoscono e che personalmente ho sentito raccontare in varie versioni. Nel video si vede un uomo entrare armato di coltello in una stazione di polizia con intenzioni apparentemente minacciose, anche se sarebbe più corretto dire disperate. Uno degli agenti presenti anziché “neutralizzare” la minaccia come si dice in gergo, decide di cercare di calmare l’uomo ed alla fine ci riesce, lo abbraccia, si fa consegnare il coltello e lo fa sedere portandogli un bicchiere d’acqua. Viene fuori che l’uomo era un musicista disperato a cui avevano rubato la chitarra e che non veniva pagato da giorni. Lieto fine e da ex chitarrista anche solidarietà nei confronti del povero musicista sfortunato.
La storia nota di cui parlavo invece è ovviamente quella in cui un giovane ed aitante aikidoka si trova su un treno quando ad un certo punto sul suo vagone sale un omone ubriaco ed aggressivo che imperversa tormentando i passeggeri, il giovane aikidoka è sul punto di confrontarlo quando l’omone ubriaco viene richiamato da un vecchietto che lo invita a sedere con lui ed a parlare un po’. Sorpreso dalla comprensione del vecchietto l’uomo arrabbiato comincia a parlare dei suoi problemi e così dopo essersi sfogato si calma, chiede scusa e se ne torna a casa deciso a mettere mano ai suoi guai invece che alla bottiglia, il tutto mentre il giovane aikidoka, smanioso di testare la propria abilità tecnica sul campo resta a bocca asciutta, oltre che aperta.
L’analogia di fondo delle due storie credo sia la stessa: “un atto di comprensione può risolvere un’intenzione ostile senza danno” o se preferite “per calmare l’acqua agitata basta non toccare il bicchiere”.
Prima di andare avanti va fatta una premessa per onestà intellettuale oltre che per dovere di cronaca: in base alla mia esperienza personale maturata sul tatami (e fuori) non consiglierei a nessuno di avventurarsi a cuor leggero verso un coltello spianato, inoltre devo confessare di aver sentito più di una voce discordante sull’episodio dell’aikidoka nel treno che ho raccontato brevemente, voci che in alcuni casi ne mettevano in dubbio perfino la verità storica, come d’altronde accadeva per molti episodi “magici” attribuiti a Morihei Ueshiba nei primissimi anni di diffusione dell’Aikido.
Nonostante tutti i leciti dubbi di ordine pratico o storico, io credo che sia il video dell’agente di polizia che la storia dell’aikidoka sul treno possano fornirci utilissimi elementi per fare una riflessione sulla nostra pratica oggi ed in particolare sulla sua perdita di terreno nei confronti di altre pratiche che vanno per la maggiore.
Dove può essere il valore dell’Aikido in un mondo in cui le arti marziali si stanno trasformando sempre più in sport da combattimento? Che posto può trovare una pratica di relazione ed una via che cerca l’armonia in un mercato sovrabbondante di offerte il cui scopo dichiarato è quello di massimizzare l’efficacia e quindi il danno inflitto ad un avversario sempre e comunque?
Senza arrivare all’estremo di una situazione fisicamente pericolosa per la nostra incolumità, pensiamo “con un po’ di gnegnero” (come diceva il mio maestro) a quante situazioni conflittuali nel nostro quotidiano potrebbero risolversi semplicemente non alimentandole. Il bilancio potrebbe stupirci ed il risultato potrebbe lasciarci senza parole. Quanta energia, quanto tempo, quanta vita sprechiamo in conflitti ai quali siamo noi a dare l’ossigeno necessario per bruciare?
Un atto di comprensione può risolvere un’intenzione ostile senza danno
Questa può sembrare una considerazione di buon senso spicciolo eppure io, ad esempio, ci sono dovuto arrivare attraverso un percorso che è passato dal tatami, dal mio corpo e da una pratica di armonia e di relazione come l’Aikido. Per rispondere alla domanda posta poco fa, io la capacità che una pratica ha di far compiere un percorso del genere la chiamo valore cioè qualcosa per la quale le persone sono disposte a spendere energia, tempo e vita. Non saprei dire se anche mediante altre pratiche o discipline si possa compiere un percorso simile, probabilmente sì, ma quello di cui sono certo è che nell’Aikido questo percorso non solo è marcato in modo esplicito, ma è parte integrante della sua stessa ragione di esistere. Senza questo elemento di crescita a connaturarlo credo che l’Aikido sarebbe scomparso o sarebbe diventato un Jujitsu più gentile o perché no, più finto (jujitsu per ragazzi sensibili, parafrasando un mio amico molto tempo fa).
Ok, abbiamo del valore, quindi siamo a posto? Neanche per idea.
Come ho imparato dalla mia vita professionale avere del valore non vuol dire essere in grado di veicolarlo e di farlo arrivare a destinazione, passaggi tipicamente molto delicati e tutt’altro che privi di insidie, nei quali storicamente si è giocata la vita o la morte di Imprese, Sogni ed Ideali e sui quali si concentrerà nei prossimi anni la vera sfida per tutto il mondo dell’Aikido, sfida che potrebbe determinarne la sua stessa sopravvivenza.
Non dimentichiamoci mai chi siamo e da dove veniamo.