Potrebbe essere una citazione del maestro Yoshigasaki, ma non lo è.
Il mese scorso abbiamo condiviso il programma didattico del dojo Hajime di Novara e abbiamo rivolto alcune domande al maestro di quella scuola, Moreno Maule. Adesso è la volta dell’Inaka Dojo di Mogliano Veneto (LIBRETTO ESAMI BIMBI NEW (1)). Abbiamo avuto la fortuna di incontrare Mirco Angeletti in occasione dell’ultimo seminario del Doshu a Firenze e ovviamente ne abbiamo approfittato per approfondire l’argomento.
Il confronto tra i due programmi è interessante e le risposte di Mirco aggiungono nuovi elementi alla riflessione sull’insegnamento agli Aikids, ma che sono sempre più convinto siano perfettamente validi anche per gli adulti.
D: In generale, come è stato definito il programma? Sulla base dell’esperienza personale oppure seguendo indicazioni esterne? E’ stato condiviso con degli Shihan o con il Doshu?
R: Quando ho deciso di aprire il corso per i bambini chiesi a Beppe alcune “dritte” e se potevo utilizzare il suo programma didattico. E così è stato. Successivamente, secondo la mia esperienza, l’ho modificato ed ampliato. Le modifiche si sono rese necessarie per correggere determinati errori comportamentali ricorrenti nella pratica. Quando Beppe è venuto a mancare ho chiesto a Sensei se dovevo far riferimento a qualche altro Shihan, ma mi ha risposto che potevo far da solo.
Per me è stato un grande stimolo alla “maturità”.
D: Mi pare di capire che il programma sia lo stesso per bambini e adolescenti. Anzi, sembra pensato per partire con un bambino e finire con un adolescente. È corretto?
R: Sì, corretto. All’inizio l’impostazione di Beppe prevedeva un programma per bimbi ed un altro per ragazzi e non prevedeva l’esame di cintura nera. Successivamente proposi a Beppe un programma unificato con due esami di ki e l’esame di I dan. Beppe lo studiò e mi diede il suo ok, tanto che alla fine, a quanto ne so, è stato adottato anche al Ki Dojo.
D: Venendo alle modifiche “correttive” di errori comportamentali ricorrenti a cui accennavi, quali sono in particolare?
R: Ad esempio il livello introduttivo, “Shinsa”, era molto ristretto. L’anno scorso l’ho modificato per dare maggiore enfasi alla corretta postura, del corretto modo di spostarsi durante la lezione e così via. Spesso, anche nei ragazzi più grandi, si nota un modo di muoversi in dojo assolutamente “sciatto”. Correggere da subito questi atteggiamenti sbagliati è fondamentale.
D: Ne avrebbero parecchio bisogno anche gli adulti…
R: Imparare da subito a legarsi la cintura in modo corretto è importante. E’ un po’ come sapersi legare le scarpe. Il bambino diventa autonomo all’interno dello spazio del dojo e allo stesso ne apprende le regole essenziali e più in generale si abitua all’idea che ogni ambiente ha le proprie di regole. Non è un approccio rigido o militare: è una questione di rispetto.
D: Sempre rimanendo sul primo esame, mi piace molto che ci sia addirittura un test dedicato a come alzarsi e camminare. E’ veramente “ki in daily life”. Come si rapportano i bambini rispetto al concetto e alla pratica del ki?

Fitball “avvelenata” in shikko…si comincia!
R: Io trovo che la nostra pratica abbia la capacità di aiutare profondamente il bambino nella sua naturale crescita. Il ki non viene vissuto all’interno di una pratica “a parte”, ma nell’ambito di tutto quello che facciamo durante la lezione. La stessa tranquillità e serenità che esprime l’insegnante è un aspetto di ki che sorprende i bambini e li fa cambiare. Trovarsi in un luogo in cui, a differenza della scuola o di altre situazioni, l’errore non provoca una sanzione bensì una spiegazione, porta i bambini ad acquisire sicurezza e ad assumere un atteggiamento mentale positivo. Talvolta i bambini arrivano talmente “compressi” che non si può fare altro che lasciarli sfogare per un po’. In altri casi, quando c’è troppo confusione (e comunque quando si fa lezione ai bambini il silenzio non esiste), o mi siedo in seiza in completo silenzio e attendo o mi butto in terra come se fossi svenuto. Questa cosa li lascia spiazzati e li fa smettere. Ormai è diventato un segnale: i più grandi, appena mi vedono fare così, iniziano subito a chiedere agli altri di smettere. Trovo sia un esempio di ciò che il Doshu chiama “cambiare la mente” e mi piace pensare che i bambini quando saranno grandi si ricorderanno di questo maestro un po’ bizzarro e potranno riscoprire questo tipo di approccio nelle loro vite.
D: Come avevo scritto nell’articolo contenente l’intervista a Moreno, per anni ho ritenuto che la pratica dei bambini fosse una roba un po’ “finta”. Recentemente mi sono reso conto che sbagliavo. Anzi ritengo che debba essere assai di più valorizzata.
R: Assolutamente. I bambini, a differenza degli adulti, hanno ancora la proprietà del loro tempo. Pertanto con loro si può fare un lavoro approfondito e continuativo nel tempo. È un settore che può e deve essere ancora profondamente sviluppato. Una mia speranza è che presto, nell’ambito degli incontri dedicati agli istruttori, si possa dedicare anche uno spazio specifico all’insegnamento dei bambini, nel quale, ad esempio, confrontarsi con pedagoghi, docenti di scienze motorie specializzati nell’età giovanile, ecc. Il ki-aikido è una pratica “magica”: non sto a dirti tutte le conferme che ho avuto, ma ti racconto solo che una mamma recentemente mi ha riferito che il figlio da quando ha iniziato a venire in palestra è addirittura migliorato in…matematica!!! Ti rendi conto?!? Per questo trovo che la pratica trasformi i bambini in modo quasi commovente. Il ki aikido ci dà degli strumenti sorprendenti che noi maneggiamo in modo inconsapevole.
D: A proposito di questo: che caratteristiche deve avere l’insegnante dei bambini?
R: Bella domanda! Tanta pazienza, innanzitutto. Disponibilità all’impegno e rispetto. Rispetto vuol dire cercare di comprendere sempre le ragioni dei bambini. Chiedersi sempre “perché si comportano così?”. Non liquidarli semplicemente dicendo: “fanno così perché sono bambini.” Anche il casino ha le sue ragioni. Bisogna sempre chiedersi “perché” (NdR: il Doshu il mattino dopo avrebbe definito il concetto di rispetto esattamente con le stesse parole di Mirco).
E poi propensione alla creatività: bisogna sempre avere idee nuove per combattere la noia e inventare e re-inventare tecniche, giochi, ecc. Con i bambini non si può ripetere a pappagallo (e comunque non mi piace neppure con gli adulti): si deve avere un obiettivo e trovare il modo di raggiungerlo inventandosi il mezzo più adeguato. L’insegnamento ai più piccoli consente una maggiore libertà di espressione, anzi costringe ad averla.
Infine è necessario essere capaci di lavorare sul gruppo. E’ il gruppo, la comunità, sono fondamentali.
Insegnare ai bambini non è davvero per tutti. Richiede un’attitudine che prescinde dal grado.
D: Entriamo un po’ più nell’elemento didattico. Rispetto alla pratica con il bokken per i più piccoli, utilizzate un modello “apposito”?

Fitball “avvelenata” nel vivo
R: Sì, certo. Tutto, come ti ho detto, deve avere un programma ed una finalità precisa e specifica.
Bukiwaza (jo e bokken) per i piccoli è propedeutico: imparano a conoscerli, a maneggiarli ed a relazionarsi. Ho fatto fare dei bokken leggermente più piccoli ed in legno molto leggero adatto a loro. Si arriva a praticare il bokken seriamente dalla 4^ – 5^ elementare. A scopo puramente didattico, per poter studiare accuratamente alcune posizione senza annoiarli, ho ideato una piccola sequenza dedicata ai bimbi e ragazzi. Se gli facessi ripetere happo-giri più di una volta, già alla seconda li vedrei stronfiare. Questa sequenza-gioco insegna ai bambini a fare tenshin facendo passare sempre il bokken sopra la testa.
D: E i giochi?
R: Intanto il calcio è bandito dal dojo. Se non in shikko!!! Lo shikko-soccer è un gioco che piace molto, così come evitare, sempre muovendosi in shikko, la fit-ball che l’insegnante fa rotolare verso i bambini. Una specie di palla avvelenata che insegna a muoversi in ginocchio molto rapidamente!
D: Nel programma del dojo Hajime di Novara ci sono anche dei tsuzuki waza appositamente pensati per i bambini. Non ti è mai venuto in mente di fare altrettanto?
R: Sinceramente no. In effetti faccio praticare ai più piccoli dei “mini-tsuzuki waza”, partendo da quelli già esistenti che semplifico eliminando le tecniche più complesse, ma no, non ho mai sentito l’esigenza di ricodificarli. Ai ragazzi delle superiori poi faccio praticare le sequenze complete.
D: un’ultima domanda. Che cosa ti disse esattamente Beppe, quando gli manifestasti l’intenzione di aprire il corso dei bambini?
R: Con Beppe ci conoscevamo da anni, ma alla fine poi non così profondamente. Però mi disse che secondo lui avevo l’attitudine giusta. Aveva ragione. Ogni anno a giugno accolgo la pausa estiva con un sospiro di sollievo. E già dopo un paio di giorni dalla chiusura dei corsi sono lì che mi dico: “E ora? Che faccio?”
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