
Quando faccio lezione gesticolo parecchio…
Oramai sta diventando una buona e bella abitudine quella di trovarsi con gli amici di Chiusi, Fossombrone e Lastra per praticare insieme. All’inizio della nostra avventura abbiamo deciso di trovarci in modo itinerante, cercando di organizzare trasferte che ci portassero gli uni verso gli altri anche da un punto di vista chilometrico oltre che enogastronomico, per cui dopo l’incontro nella tana del lupo a Gubbio questa volta ci troviamo nella “tana del cinghiale” a Chiusi.
Sabato mattina sul tatami del palazzetto dello sport di Chiusi la voglia di praticare era tanta e così durante la lezione abbiamo potuto lavorare su diversi argomenti tutti correlati al programma di esame di secondo dan. Malgrado l’ampio spettro tecnico coperto, fondamentalmente i temi che ho cercato di portare avanti nelle tre ore di lezione sono stati due: l’importanza di ukemi ed il profondo legame tra l’Aikido e la vita quotidiana di ogni praticante.
Chi mi conosce sa bene quanto tenga in altissima considerazione il ruolo di ukemi, sia da un punto di vista di contributo alla qualità della pratica che come veicolo di apprendimento. Questo indubbiamente per solidarietà alla categoria, dato che ho fatto e continuo a fare moltissimo ukemi, ma non solo.

Io che faccio ukemi a Nico durante un seminario a Fossombrone
Non nascondo che la maggior parte della mia comprensione sia tecnica che filosofica di quello che è l’Aikido l’ho avuta dall’esperienza diretta e costante come ukemi al mio maestro e, più sporadicamente, al Doshu. Vedere la tecnica è un conto, sentirla è tutto un altro discorso.
All’altro estremo però mi è stato altrettanto utile fare ukemi a completi principianti, in quanto mi ha permesso, come istruttore, di capire meglio i punti più difficili di una tecnica, essendone partecipe con il compagno.
C’è stato e c’è ancora nel nostro mondo un grande dibattito sul giusto modo di fare ukemi e malgrado io sia ancora in grado di fare cadute ampie e voli spettacolari è mia ferma convinzione che non sia questo l’elemento più caratterizzante del ruolo di ukemi.
Il bravo ukemi può contribuire in modo determinante a migliorare esteticamente una tecnica, rendendola più armoniosa o facendola apparire addirittura spettacolare. Personalmente per anni ho lavorato incessantemente su questo elemento: raffinare la caduta, renderla fluida, farla diventare una transizione continua tra ciò che accade prima e dopo la proiezione.
Tutto ciò è necessario, utile ed innegabilmente soddisfacente, soprattutto se si è giovani e con molta voglia di muoversi ma per come la vedo adesso, a 35 anni di cui 16 passati sul tatami, non è fondamentale.
Il ruolo primario di ukemi è fornire uno stimolo a nage, mantenere il contatto durante tecnica senza perdere la propria integrità ma tenendo un comportamento marziale onesto e consapevole del pericolo.
Parliamoci chiaramente, si tratta di qualcosa di veramente sfidante.
Per esperienza personale è molto più impegnativo fare ukemi ad Adriano (per chi non lo conosce, un praticante disabile che frequenta il Ki dojo) che non fare voli di metri con un bravo nage e nel mio caso la prima delle due esperienze mi ha permesso di fare un salto di qualità enorme come uke che il solo sviluppo di capacità atletiche non mi avrebbe mai permesso.
Su questa terra tutti facciamo parte della stessa famiglia e dovremmo operare assieme […] senza l’Amore la nostra nazione, il mondo e l’universo saranno distrutti (Morihei Ueshiba – L’Arte della Pace)
Il secondo tema che mi sta molto a cuore ultimamente e che ho trattato sabato è il legame dell’Aikido con la vita reale. Personalmente se sentissi che quello che faccio sul tatami non ha valore fuori dal tatami smetterei immediatamente e mi cercherei altro da fare.
Per trattare l’argomento durante la lezione sono partito da una frase che ha pronunciato il Doshu al seminario di Ljubljana di Dicembre: “A voi non capita spesso di essere aggrediti fisicamente, ma magari vi accade spesso di essere aggrediti in altri modi”.
Pensiamo a quante insidie, sfide o vere e proprie imboscate affrontiamo ad esempio sul lavoro, probabilmente non sono aggressioni a mano armata ma la loro cattiva gestione potrebbe portare a conseguenze ben più gravi di un semplice pugno sul naso.

Un momento del gioco “Roma Termini all’ora di punta”, i praticanti potevano rimanere solo nel quadrato rosso (come dicono i bambini “facciamo che il verde è lava”)
Da quanto ho visto per affrontare situazioni conflittuali nella vita quotidiana occorre anzitutto essere presenti, avere capacità di lettura della situazione per riuscire a gestirla in modo che nessuno si faccia male, saper dare priorità ai problemi che ci minacciano per poterli mettere in fila e risolverli senza esserne sepolti. Tutto questo, anche senza dogi, a me sembra proprio Aikido.
Con questa idea alla base ho fatto praticare un esercizio preparatorio per il randori che io chiamo “Roma Termini all’ora di punta”. Si mettono un gruppo di praticanti in uno spazio ristretto e gli si chiede di muoversi velocemente in tutte le direzioni, senza sconfinare ed evitando di scontrarsi con i compagni. Dopo un paio di tentativi, un po’ di affanno e qualche scontro frontale, anche ai meno esperti è risultato evidente che la fluidità nell’esercizio migliorava se invece di tentare di schivare tutti gli altri compagni provavano a percepire ed a riempire gli spazi vuoti man mano che gli spostamenti degli altri ne creavano.
Per citare le parole del Doshu “se non si riesce a controllare il compagno c’è scontro, ma prima del compagno è meglio provare a controllare la situazione” ovvero lavorare sulla relazione, prima ancora che sugli uke e sui trucchi del mestiere a cui si ricorre per avere la meglio, ricordandoci che tutta la spazzatura che scarichiamo in un rapporto prima o poi ci ritorna.
In fondo l’Aikido è un’arte marziale che nasce in un Giappone ed in un mondo devastati dall’atomica e dalle ferite della seconda guerra mondiale e O Sensei, come dimostrato in scritti quali “L’Arte della Pace”, cercava proprio una via da mettere al servizio di un’umanità più progredita che non volesse più rischiare di annientare se stessa con stupide prove di forza e di brutalità.
Perché come cantavano i Rolling Stones: war is just a shot away.

La foto di gruppo
Grazie a Marco e Daniele per le foto.
La foto di copertina è tratta dal reportage: “Can change come to Congo” di James Nachtwey.