Nella pratica dell’aikido e nel suo insegnamento cerchiamo di non seguire dogmi precostituiti da nessun cliché marziale o di altro genere.atteggiamento che dà una grande forza alla pratica, alla sua autonomia, all’identità del praticante, ma implica un grande impegno e coscienza critica.
Su questa doppia natura ho molto riflettuto recentemente.
Appena salgo sul tatami ,il Doshu spiega come il suo insegnamento sia cambiato e che il ruolo degli istruttori, maestri e Shihan sia diverso e debba cambiare. Naturalmente ci fa notare che le modifiche culturali e l’evoluzione della società creano nuovi equilibri e quindi anche l’approccio alla pratica è nuovo.
Cambia proprio il rapporto fra le persone e la pratica. Cambia la disciplina, la ricerca e le motivazioni che spingono le persone a praticare Aikido.
Sabato faceva già caldo e il Tatami era gremito, è sempre un bell’effetto vedere il verde del tatami interrotto da tante persone e guardare come si incastrano tanti Dogi durante la pratica.
Quando il Doshu ha ripreso il discorso di Aikido nella vita reale e a spiegato gli elementi che avrebbe poi sviluppato nello stage, sono riaffiorate le considerazionii precedenti fatte a Prato.
Lo studio del KI serve per prepararci, cambiare la mente di Ukemi e poi dobbiamo metterlo giù.
Sono tre gli atti fondamentale della nostra rappresentazione . C’è la parte indivisibile , l’elemento che compone l’unità: possiamo spezzare una sequenza di punti, ma non la linea . Ancora più entusiasmante trovo la parte delle connessioni ,un concetto che negli anni è stato ripetuto sotto varie forme . Si parla di nuovi inizi in ogni educativo, in ogni tecnica e per ogni Tzuzukiwaza.
La forma è vista come espressione delle relazioni, una mente pronta ad accettare i cambiamenti e adattarsi . Rinnovare , agire e non reagire.
Almeno noi possiamo continuare a cercare la via per arrivare all’illuminazione.