A noi di KNN Cobra Kai, la nuova serie di Youtube Red che continua e fa da reboot della saga di Karate Kid, non è piaciuta…di più!!! E per questo motivo Corrado e Paolo hanno deciso di farci sopra una bella recensione. Rigorosamente senza spoiler. Strike first!
Corrado
La sfida con il proprio doppio sta alla base della letteratura epica mondiale. Nella città sumera di Uruk il re Gilgamesh affronta Enkidu, l’uomo primitivo creato dagli dei appositamente per affrontarlo. Opposti, ma uguali, in quello scontro troveranno entrambi il proprio destino e rimarranno legati per tutta la vita. Il primo poema epico della storia umana comincia così.
Cobra Kai parla esattamente di questa roba qua. Sono passati 34 anni dalla sfida al torneo di All Valley e Johnny Lawrence, l’antagonista di allora, non se la passa molto bene. Mentre il suo antico avversario, Daniel Larusso, è diventato un ricco imprenditore di successo con una bella famiglia e una bella casa, lui vive solo, diviso tra alcol e problemi economici.

Johnny è tornato!
Sarà l’incontro con un ragazzino vittima dei bulli della sua scuola a dargli lo spunto per iniziare una nuova vita, aprendo un dojo in cui insegnare il karate ai ragazzi più deboli, quelli che un tempo sarebbero state le sue vittime naturali. Ovviamente il karate del Cobra Kai.
Una serie di coincidenze lo porteranno di nuovo a confrontarsi con Daniel Larusso, dando indirettamente anche a lui l’occasione di scoperchiare le magagne che ribollono sotto la superficie della sua bella vita.
Cobra Kai è inevitabilmente un’operazione nostalgia, ma è un’operazione nostalgia condotta con un cuore e un’intelligenza veramente rari. Da tempo gli anni ’80 sono stati saccheggiati a uso e consumo del rimpianto dei quaranta – cinquantenni di oggi. L’ultima età dell’oro.
Ma cosa è rimasto davvero di quegli anni? Un decennio talmente speciale che già qualcuno che lo stava vivendo, verso la fine iniziò a porsi questa domanda. Tanto, in alcuni casi forse troppo e spesso non il meglio. Hanno permeato le nostre vite l’edonismo e l’individualismo, ma gli anni ’80 sono stati anche altro. Nel suo ultimo libro, Macerie Prime, il fumettista Zerocalcare accusa sé stesso e i propri amici di aver tradito i sacri valori degli anni ’80. Quelli dei cartoni animati giapponesi: “abnegazione, sacrificio, altruismo, solidarietà, violenza quando ce vo’ ce vo’”. Ecco, nel sistema valoriale di tanti della mia generazione non c’è esclusivamente la Milano da bere. C’è questa roba qua. E sui quei valori si è innestato il fascino che ha spinto tanti a iniziare un’arte marziale.

I veri valori degli anni’80 (da zerocalcare.it)
Sempre nello stesso libro Zerocalcare parla dei molti talenti inespressi della sua generazione. Anche Johnny Lawrence è un talento inespresso, così come lo è Ralph Macchio, attore rimasto prigioniero della sua faccia da ragazzino e mai tornato ai fasti di Karate Kid. E forse è proprio per questo motivo che da ideatore e produttore della serie non ha esitato a trasformare il suo personaggio in una macchietta un po’ stronza, guardando invece al vecchio antagonista con benevolenza e decidendo di esplorarne quei tratti potenzialmente positivi solo accennati nel primo film. Perché Johnny alla fine non è poi peggiore di tanti altri. E’ vittima dei suoi errori certo, ma anche di una serie di circostanze che lo mettono dalla parte sbagliata della storia.
Che cosa c’entra tutto questo con il nostro ki aikido? Tanto secondo me. Perché Cobra Kai spinge a riflettere su un tema che personalmente sento molto riguardo alla nostra scuola, ovvero quello dell’identità. Come mantenere la propria identità in un tempo che è cambiato? Come valorizzarla senza cristallizzarla o perderla? Quale etica delle arti marziali ricostruire in un mondo che ne ha smarrito la magia?
E ancora: siamo davvero certi che la via “dei cattivi” sia sempre la più sbagliata?
E perché parla della sfida con il proprio doppio. Che spesso siamo proprio noi stessi. E come diceva Ueshiba Morihei: “La vera vittoria…”
Paolo
Mi sono avvicinato a Cobra Kai con genuina curiosità. Dopo essermi sciroppato tonnellate di film osceni sulle arti marziali che negli anni sono diventati film sugli sport da combattimento, la mia massima aspettativa era che la serie mi facesse fare quattro risate strizzandomi l’occhio con qualche perla nostalgica.
Devo ammettere che le mie aspettative sono state ampiamente superate.
Questa serie nasce per dare risposta ad una domanda specifica, ovvero Johnny, l’antieroe che abbiamo lasciato alla fine del primo film a leccarsi le ferite dopo aver preso in pieno naso l’iconico calcio volante di Daniel San, che fine ha fatto?
In un periodo in cui la nostalgia per gli anni 80 vende benissimo questo Cobra Kai rischiava di essere l’ennesima trovata commerciale senz’anima. Trovo invece che di anima questa serie ne abbia molta.

“Certe cose non cambiano mai, eh Johnny?”
Johnny è ancora il perdente, è l’antieroe che è rimasto fermo mentre il mondo continuava a cambiargli attorno. Non si può non affezionarsi a questo cinquantenne rimasto adolescente, che si ritrova ad insegnare il Karate prima ad un ragazzino ispanico (che ricorda moltissimo proprio il suo vecchio nemico Daniel San) e poi ad un gruppo di suoi compagni, vittime di costanti violenze fisiche e psicologiche a scuola.
Johnny ovviamente non si è trasformato di colpo nel buon maestro Myagi, per cui ai ragazzini insegna il suo Karate, quello politicamente scorretto del Cobra Kai. Non voglio avventurarmi qui in una discussione etica della filosofia del Cobra Kai, ma sarà interessante vedere come evolverà questa parte della storia nella seconda stagione.
Ho trovato questa serie molto collegata ai nostri tempi. Johnny che diventa maestro, o meglio Sensei, di una scuola di Karate comincia a fare i conti con problemi burocratici, le bollette, le autorizzazioni sanitarie, la necessità di far quadrare I conti e l’incapacità di fare promozione efficace della sua attività ed un corso che non decolla in termini di numero di iscritti, motivo per cui affitta la palestra ad una scuola di Yoga.
Tutti temi estremamente familiari a chi ha esperienza di insegnamento.
Negli anni del primo Karate Kid, il Karate era spesso usato come sinonimo di arti marziali, tanto è vero che anche anni dopo, cioè quando ero ragazzino io capitava di sentire la mamma di turno, che magari stava accompagnando il bimbo a Qwan Ki Do dire: “sto portando Mattia a Karate”.

La copertina di una rivista del 1985
Tutto ciò è molto cambiato, l’affermazione definitiva della galassia MMA come fenomeno culturale, ha fatto tramontare la popolarità di tutte le arti marziali tradizionali. All’inizio del telefilm Johnny difende il ragazzino ispanico da un gruppo di bulli ed il suo protegé stupito dalla sua abilità gli domanda “cos’era quello? Taekwondo, MMA, Jujitsu?” “E’ Karate” risponde Johnny infastidito.
Fra le opzioni il Karate, che come dice uno dei protagonisti negli anni 80 era popolare in California come il football nel Texas, non era nemmeno contemplato, cannibalizzato dalla nuova offerta del mercato.
Purtroppo arriviamo ad una nota amara, nella prospettiva presentata dalla serie gli unici allievi interessati al Karate sono dei ragazzini in cerca di risposte per I loro problemi nel quotidiano, l’insicurezza, la paura di non essere accettati dai compagni, quella di non essere ascoltati dagli adulti, quella di essere picchiati o umiliati dai bulli.
In questo mondo in cui gli adulti sono alla continua ricerca del bonus di produzione a tutti I costi, sembra quasi che gli unici a realizzare di avere dei problemi veri siano quei ragazzini un po’ sfigati.
Trovo importante una riflessione su questo argomento, perché se l’unica utilità delle arti marziali come l’Aikido (o il Judo, o il Karate, etc…) fosse la difesa personale credo forse sarebbe più onesto dire che ci sono sistemi più ottimizzati per raggiungere un maggior livello di efficacia, dalle MMA fino al porto d’armi.
Il valore di un’Arte Marziale sta nel miglioramento di sé, nella ricerca, nell’educazione, nell’acquisizione di strumenti che ci permettano di guardarci dentro ed affrontare ciò che troviamo, perché come diceva Corrado citando Ueshiba, l’unica vittoria è la vittoria contro sé stessi.
Le immagini riprodotte all’interno dell’articolo possono essere soggette a copyright.