
Il tramonto dalla sommità dell’isola
Sabato e Domenica scorsa si è tenuto il trentaduesimo “Gasshuku in the country” evento di pratica all’aperto con Jo e Bokken, tradizionalmente organizzato dal Ki Dojo di Firenze con l’arrivo della bella stagione. Dopo aver trovato posto per anni in varie location nel Chianti, per motivi logistici l’ultima edizione di questo particolare seminario si era tenuta all’Isola Polvese nel 2016 e, dopo la scomparsa di Beppe, si era interrotta per essere ripresa proprio quest’anno e proprio all’Isola Polvese.
L’idea di riprendere questa pratica è venuta durante uno degli incontri interdojo ai quali ho la fortuna di partecipare oramai mensilmente, con gli amici di Chiusi, Fossombrone e Lastra ed era nata quasi per gioco, mentre si lavorava proprio sul secondo kata di Jo. Si diceva che sarebbe stato bello riprendere il Gasshuku per approfondire certi temi, così appena rientrato a Firenze ho sondato il terreno presso gli istruttori del Ki Dojo e dopo qualche tentennamento iniziale li ho trovati entusiasti.

Tra Fossombrone e Chiusi si discute animatamente
Il resto lo ha fatto il grande impegno di Marco, il responsabile del Dojo di Chiusi, senza i cui sforzo organizzativo l’evento non sarebbe stato possibile. Mi sentirei di fare un altro grazie anche ai responsabili di Dojo che hanno partecipato numerosi con i loro allievi.
Le sessioni di pratica sono state guidate dagli istruttori del Ki Dojo Marco Zaccagnini, Fabio Valtancoli e Paolo Cecere e sono state favorite da un tempo splendido.
Gli argomenti di pratica trattati sono ovviamente quelli legati all’uso ed allo studio delle armi, Jo e Bokken ma come ad ogni Gasshuku che si rispetti c’è stato spazio anche per una sessione mattutina di Misogi che ha trovato la sua collocazione ideale in uno scenario veramente suggestivo, nei pressi di un monastero da poco restaurato.
Il rimanere in gruppo all’interno di un contesto isolato e finalizzato alla pratica è indiscutibilmente un enorme valore aggiunto in quanto tutte le interferenze che ci (dis)turbano nel nostro quotidiano, vengono meno.
Personalmente il mio consiglio spassionato è che chiunque se la senta di organizzare un evento del genere dovrebbe provarci, se non c’è la possibilità di farlo da soli unite gli sforzi con altri entusiasti e provateci lo stesso e se nemmeno questo è possibile direi di prendete nota degli eventi simili che vengono organizzati da altri dojo e di chiedete se è possibile prendervi parte.

Fabio si diverte…
Il ritorno sarà incalcolabile, sia per la qualità della pratica, sia perché stando insieme un paio di giorni, faticando fianco a fianco, si realizza quella necessità di creare una rete di relazioni anche con compagni di pratica fisicamente e tecnicamente lontani da noi, rete che a mio modestissimo parere, è l’unica possibilità di sopravvivenza che ha la nostra Arte per continuare a vivere e svilupparsi in questi tempi difficili.
La pratica domenicale di Misogi è stata per me anche un’occasione di riflettere sul particolare momento della nostra disciplina.
Il Misogi è una pratica di “pulizia” che agisce sull’unione mente-corpo e sicuramente, assieme alla meditazione, rappresenta uno degli strumenti più efficaci per il nostro “viaggio interiore” come si sarebbe detto qualche anno fa.
Tuttavia il Misogi può essere una pratica anche molto intensa da un punto di vista squisitamente fisico, soprattutto se fatta intensamente ed in modo continuativo per uno, due giorni o più.
Senza voler volare troppo in alto, ma ripetere un movimento centinaia, migliaia di volte, è un ottimo modo per pulirlo di tutto ciò che è superfluo.
Dobbiamo stare attenti su due aspetti però, il primo è che ripetere in modo improprio un determinato movimento molte volte può causare problemi ed il secondo è che le nostre ripetizioni, con tutto il rispetto per il mondo del fitness, non devono diventare ginnastica.

… e anche Paolo
Forse è un sintomo del fatto che l’età media del nostro piccolo movimento sta inesorabilmente salendo, ma talvolta ho trovato una certa avversione nei confronti della ripetizione del gesto tecnico, quasi come fosse fatica inutile, ma così facendo a mio avviso diventa difficile fare esperienza diretta dell’Aikido.
Sarebbe come voler fare esperienza di Misogi in cinque minuti praticando giusto il tempo di fare i cambi di ritmo, un’assurdità se è vero che possono essere necessarie più sequenze intere e ben condotte per cominciare anche solo a sciogliersi ed a praticarlo correttamente.
Dunque la ripetizione può insegnarci molto sotto il profilo tecnico ma credo ci sia anche dell’altro.
Venerdì scorso, mentre facevo lezione ho divertito ed ammorbidito (o se preferite stancato) la classe con un po’ di giochi di motricità che ho preso in prestito dalle lezioni dei bambini (grazie soprattutto ai Gasshukids a cui ho assistito).
A quel punto ho notato che le successive sequenze di zenponage che faccio fare abitualmente ad inizio lezione venivano molto più fluide del solito anche, anzi direi soprattutto, ai principianti.

La stanchezza e la felicità di fine seminario
L’Aikido è una pratica che vive di relazione, che ha bisogno di un gruppo di persone e della loro volontà di essere presenti e di condividere, ma è anche un’esperienza fisica che ciascuno può condurre con il materiale a propria disposizione, incluso età, limiti, esperienze, acciacchi ed infortuni.
Mille video, mille articoli, mille spiegazioni e descrizioni non valgono un solo kokyunage fatto bene.
Non sarà per caso che una buona risposta alle difficoltà che l’Aikido incontra in questi anni può partire dal ricominciare ad uscire sudati, stanchi e felici dal tatami come quando abbiamo iniziato 10, 20, 30, 40 anni fa?
(Grazie a Daniele e Nico per la foto finale e la copertina)

La foto di gruppo