Quella di domenica 25 novembre a Modena è stata proprio una bella mattina di pratica.
Ho trovato assai felice la scelta del Maestro Peloni di dare l’opportunità di fare lezione a due cinture nere di sicura esperienza, ma di generazione più recente, come Francesco Ingemi e Mara Montano. In particolare sono rimasto colpito, oltre che dalla freschezza dell’approccio, dalla grande consapevolezza e creatività che entrambi sono riusciti ad esprimere.
E il bello è che sono stati creativi rimanendo totalmente nel solco dell’insegnamento del nostro Doshu. E’ risultato infatti evidente che lezioni del Maestro hanno fatto per entrambi da “innesco” di meccanismi di studio e riflessione, che si sono tradotti in altrettanti percorsi personali.

I tre insegnanti
Non la mera riproposizione di una forma o di parole ripetute a pappagallo quindi, ma due lezioni nelle quali Mara e Francesco sono stati completamente sé stessi, pur esprimendo concetti che, almeno nella mia testa, hanno risuonato chiari perché chiaramente originati dalla medesima fonte.
Questo è ciò che mi piace chiamare “riflessione condivisa”, “identità”, o più semplicemente, “Scuola”.
Francesco ha insistito sulla necessità di mantenere sempre un atteggiamento mentale presente e consapevole nell’esecuzione dei movimenti e delle tecniche: nulla di ciò che facciamo deve essere fatto a caso, ma deve sempre realizzato tenendo presente una possibile continuazione. Proseguendo ad inviare il ki, potremmo dire e la verifica, ovviamente, è il test.
Mara ha invece rivendicato per le troppo poche donne che praticano ki aikido una chance in più di comprensione. Gli ometti infatti spesso tendono a voler realizzare una forma bella ed efficace ( e che spesso si rivela tale solo nella loro testa), a giocare ai samurai senza esitare un istante ad approfittare della propria forza fisica o del proprio peso. Un approccio che non può portare lontano e che Mara ha giustamente criticato invitando tutti alla ricerca attenta di ciò che sta oltre la superficie della tecnica.
L’ultima parte della lezione è stata tenuta da Mario e se i primi due insegnanti sono stati una piacevole sorpresa,posso dire che lui rimane una piacevole conferma. Il lavoro su omote e ura e sull’aikido in vita reale hanno ribadito l’esperienza di Shihan che non smette di perseguire la propria ricerca, figlia dell’insegnamento del proprio Maestro. E che anzi di questo insegnamento non ha mancato mai di rimarcare la specialità e l’unicità.
Quante sono le cose che non so! Quante sono le cose anche dell’insegnamento di Yoshigasaki che non ho modo e tempo di approfondire. Ma che bello e che fortuna che ci siano altri intorno a me che percorrono strade vicine in modo così consapevole!
Ne sono sempre più convinto: l’apprendimento e lo sviluppo sono e non potranno che essere fenomeni collettivi nei quali ognuno di noi gioca e giocherà la sua parte.
Talvolta guardiamo alla nostra scuola in modo pessimista e ci interroghiamo sul suo futuro, ma domenica ho lasciato la Corassori portandomi addosso un piacevole senso di fiducia.
Grazie a Pamela Galia per la foto!