Il fine settimana del 8 dicembre si è tenuto a Figline Valdarno l’ultimo seminario italiano del Maestro Yoshigasaki per il 2018. La squisita ospitalità di Nico e Pietro ci ha permesso ancora una volta di trascorrere un bel weekend di pratica con il nostro Doshu e di chiudere l’anno dei suoi appuntamenti in vera bellezza.
Ho ripensato al seminario di Prato, il primo a cui ho partecipato nel 2018. In quell’occasione, seppur come sempre profondamente coinvolto nel percorso didattico del Maestro, avevo anche riscontrato da parte sua una certa difficoltà nell’esprimere l’evoluzione teorica rispetto al concetto di “aikido in vita reale”.
La stessa sensazione si era ripresentata, ancora più pungente, un paio di mesi dopo a Vercelli: era come se il Doshu stesse faticosamente cercando le parole adatte per dire ciò che aveva in testa. O forse ero io che non avevo le orecchie ancora pronte per ascoltare.
A novembre, a Firenze, le cose hanno iniziato a risultarmi assai più chiare. Il messaggio del Maestro ha iniziato a dipanarsi e la tre giorni fiorentina ha rappresentato per me l’inizio di un discorso che ha trovato il suo giusto completamento nel fine settimana di Figline, quasi che i due seminari toscani fossero idealmente collegati. E’ incredibile come ogni seminario, ogni lezione non sia soltanto “un altro seminario” o “un’altra lezione” come tante altre, ma un momento irripetibile, la tappa di un vero e proprio viaggio.
Per la maggioranza di noi, da qualche anno a questa parte, “aikido in vita reale” ha consistito esclusivamente in una serie di applicazioni derivate dalle tecniche che non prevedono la caduta finale di ukemi. Come ho già detto più volte, trovo questo approccio geniale e stimolante, perché rappresenta ai miei occhi la chiusura del cerchio, l’anello che mancava.
Negli ultimi mesi però mi sono reso conto che il valore di questo lavoro va ben oltre la sola dimensione tecnica.
L’aikido è un’arte e come tale sul tatami permette a chi la pratica di esprimere la propria immaginazione e creatività attraverso l’esecuzione delle tecniche. Ma il ki-aikido è un’arte molto speciale perché insegna alle persone a esprimere la propria creatività nella vita reale. E per questo il Maestro la chiama “arte di vita” capace di far “esprimere sé stessi”.
Ma cosa vuol dire “esprimere sé stessi”? Esprimere esclusivamente e in modo compulsivo i propri sentimenti e i propri pensieri? Ovviamente no. Vuol dire sedersi con calma, respirare correttamente, osservare i propri pensieri e le proprie emozioni per poi andare ancora più in profondità. Lì troviamo noi stessi, la nostra componente più umana.
Una volta trovata, una volta coordinati mente e corpo, possiamo risalire e dar voce a pensieri ed emozioni in modo più corretto ed efficace.
Dal punto di vista del ki-aikido quest’attività meditativa si trasforma in una pratica fisica in cui le tecniche sono lo strumento per educare i movimenti (gli atti) che si possono compiere di fronte ad un attacco (fisico o psicologico) che può verificarsi in una situazione reale. Tengo peraltro a precisare – a beneficio di tutti coloro che dicono che il Doshu parla troppo – che durante il seminario di Figline, così come del resto a Firenze, non si è fatta solo della filosofia, ma c’è stato spazio per una carrellata tecnica decisamente importante.
Quale fondamento dello studio tecnico del Maestro vi è la strana disciplina che lui chiama “matematica della forma”, qualcosa apparentemente privo di utilità pratica, ma che insegna a comprendere i fenomeni in maniera indipendente dai propri desideri o dalle proprie emozioni.
Riflettevo che anche noi di Ki No Nagare quest’anno abbiamo voluto esprimere noi stessi, dar voce ai nostri sentimenti e alle nostre opinioni. La storia di questi due anni e mezzo del blog, le persone incontrate e le esperienze raccontate, ci hanno infatti portato a definire una nostra visione della pratica e a desiderare di condividerla. Così è nato il nostro aiki-manifesto.
Non so se siamo stati realmente efficaci nel comunicarlo, ma sono sicuro che in esso abbiamo davvero riversato noi stessi, la nostra identità e soprattutto la nostra voglia di futuro per l’arte che amiamo e pratichiamo.
E a proposito di futuro, alcuni mi hanno chiesto come mai Ki No Nagare ultimamente abbia diradato le pubblicazioni degli articoli. Non è la voglia a essere venuta meno, ma il 2018 è stato per tutti e tre un anno che ha visto gli impegni personali infittirsi e scrivere richiede tempo e concentrazione.
Non abbiamo nessuna intenzione di fermarci però e per il 2019 ci proponiamo di continuare, seppur con frequenza ridotta, il nostro lavoro di condivisione delle esperienze, così come di dar voce con maggior forza e impegno alle nostre posizioni e opinioni personali.
Banzai!