Lo dico subito: andare al seminario di fine aprile a Vercelli mi fa sempre molto piacere. Sarà perché trovo la città assai graziosa o forse l’atmosfera primaverile mi rende la gita ancora più gradevole e rilassante oppure semplicemente, e soprattutto, per il rapporto di grande affetto e stima che mi lega ormai da anni alle persone del dojo.
A questo proposito ho molto apprezzato le parole di Francesco nel post su Facebook a chiusura dell’evento: “Anche quest’anno è stato bello incontrare gli amici di sempre sul tatami…” Esatto: gli amici di sempre. Anzi, domenica a pranzo, con Pietro seduto accanto sul seggiolone che faceva i suoi paciughi nel piatto, ho pensato che era come trovarsi a una riunione di famiglia, la grande famiglia allargata che segue il Maestro Yoshigasaki. E come in ogni famiglia c’è il cugino con il quale leghi di più e lo zio che ti lascia più indifferente, ma alla fine la cosa non rileva granché.
La famiglia sempre quella rimane e periodicamente, in luoghi diversi (ad esempio in questi giorni a Palermo per celebrare il ventennale del ki-aikido in Sicilia) si riunisce.
Negli anni e per ragioni spesso molto tristi ho visto i numeri di questa famiglia assottigliarsi, ma tant’è. Rinvangare troppo il passato non serve. Una mente positiva, ci ha ricordato il Maestro Yoshigasaki domenica mattina, è quella costantemente proiettata nel futuro. Non un futuro lontano nel tempo, ma solo un secondo più avanti. Una mente proiettata a fare ciò che è giusto, ciò che rende la nostra vita e il mondo migliori esattamente nel prossimo secondo. E, matematicamente, se il secondo successivo sarà migliore del precedente, il minuto successivo sarà migliore del precedente, e poi l’ora, il giorno e così via.
Pertanto è inutile crogiolarsi nel pensiero di un tempo che per sua stessa definizione non è più, ma occorre guardare avanti, anche nell’aikido. Dobbiamo sviluppare la nostra arte in modo creativo, ma allo stesso tempo consapevole e rigoroso, mai superficiale o pressappochista. Altrimenti il futuro non sarà davvero migliore del passato.
A questo proposito mi è piaciuto il racconto di Sensei sulle origini della pratica del bokken in aikido.
A partire dai primi del ’900 l’arte della spada in Giappone ha seguito due strade: una, quella della competizione sportiva in maniera analoga al judo; l’altra, dello studio tradizionale delle tecniche dei samurai con lo iaido, il kenjutsu, ecc. L’aikido nasce dall’arte della spada, ma Sokaku Takeda, che già da tempo aveva smesso di portarla, non aveva insegnato a Ueshiba Morihei alcuna tecnica di spada. E allo stesso modo gli altri grandi maestri, incluso Tohei Sensei, non avevano studiato l’arte della spada.
Però, la spada rimaneva nell’immaginario di tutti l’arma distintiva del samurai e quindi era naturale che i maestri di aikido desiderassero recuperarne l’uso. Solo, non avendo esperienza di tecniche “tradizionali”, hanno applicato alla spada i movimenti sviluppati nell’ambito dell’aikido. Nasce così “aiki-ken”. Non una derivazione delle scuole tradizionali, ma una creazione autonoma dei praticanti di aikido, che fa del bokken e del jo uno studio peculiare di movimenti applicabili anche con altre tipologie di “strumenti”.
Non so se la storia è vera, ma a me è sembrata una gran bella storia.
Durante il seminario c’è stata inoltre un’altra considerazione del Maestro che mi ha colpito molto.
Le tecniche di aikido sono una strada per educare gli atti nella vita reale. In sostanza aiutano il praticante a creare la propria vita liberamente, ma facendo ciò che è più giusto. Quando si è giovani si è obbligati a lavorare per mangiare e quindi si è poco liberi di creare la propria vita. Al contrario quando si va in pensione ci si può finalmente dedicare a sé stessi. Pertanto l’insegnamento dell’aikido in vita reale ben si attaglia agli svariati praticanti che iniziano ad essere pensionati.
Lì per lì ho pensato che il Doshu stesse definitivamente certificando che l’aikido è ormai una disciplina adatta esclusivamente per la mezza o la terza età!!!
Ovviamente scherzo, ma la sua tesi è assolutamente realistica. E’ facile inviare il ki ed essere rilassati quando si è liberi da vincoli e si ha molto tempo a disposizione. Ma per chi ancora lavora (e una pensione decente non la vedrà mai)? Per i più giovani? Per tutti coloro che insomma risiedono saldamente nella dimensione del “dovere”, qual è il messaggio?
Me lo chiedo e penso che la ricerca di un’identità oltre la tecnica a cui tanto anelo passi esattamente da queste parti.
Concludo facendo molte congratulazioni ai Maestri Gianni Gioconto e Nicola Grande che hanno ricevuto questo fine settimana rispettivamente il nono e il settimo dan.
Qui le foto dell’evento.