Il racconto del Seminario

Il seminario di Velebit non è un seminario come gli altri, anzi si può dire che nel panorama attuale costituisce qualcosa di veramente unico e raro per diversi motivi. In primo luogo la pratica si svolge in un contesto estremamente suggestivo, a quasi mille metri, circondati da montagne stupende incastrate in un vero e proprio parco naturale, ma allo stesso tempo si è a un tiro di schioppo da un arcipelago di isole immerse in un mare incredibilmente pulito e terso.
In secondo luogo è uno degli ultimi seminari di Aikido veramente intensivi sia per ritmo di pratica che per durata, dal momento che si svolge su un totale di 5 giorni e mezzo. E’ un peccato che seminari di questo tipo non siano più frequenti nella nostra scuola, perché costituiscono dei punti di raccordo estremamente efficaci, soprattutto per gli istruttori ma anche per i praticanti più entusiasti. In queste rare occasioni si riesce ad avere una visione veramente organica dell’impostazione che il Doshu sta dando alla nostra pratica. Ottenere una panoramica così chiara ed esaustiva è decisamente più complicato anche per chi, come me, ha l’occasione di seguire diversi eventi più brevi ogni anno, nei quali è possibile trattare solo alcuni aspetti isolati.
L’opportunità di seguire un filo conduttore di ampio respiro, in cui il contesto di ciò che si pratica è esplicito ed in cui le “tracce” di lavoro sono riprese puntualmente all’inizio di ogni lezione e portate avanti meticolosamente, permette di “fare pulizia” e di “mettere ordine”, come il Doshu ha spiegato più volte. Il risultato è che un seminario del genere ti rimanda a casa con un tantissimo materiale su cui lavorare, ma anche con direzioni di sviluppo chiare e precise, tanto che posso dire di poter impostare, grazie a questi cinque giorni, il lavoro al dojo per i prossimi mesi.
Aikido in real Life

Durante il seminario Sensei ha ribadito che il lavoro e lo sviluppo sull’Aikido del Dojo è da ritenersi concluso con “All of Aikido” e non a caso il tema che da un po’ di tempo a questa parte viene portato avanti ne è una naturale prosecuzione, l’Aikido nella vita reale.
Questo non significa che l’Aikido del Dojo è diventato inutile, anzi tutt’altro, è fondamentale per acquisire abilità tecniche, mentali e fisiche tali da permettere di lavorare appunto sull’Aikido nella vita reale il quale, per stessa raccomandazione del Doshu, non deve essere utilizzato come pratica quotidiana di allenamento.
L’Aikido del Dojo permette di sviluppare quelle abilità fisiche e mentali che servono all’Aikido nella vita reale.
La pratica all’interno del dojo è essenziale per sviluppare le proprie abilità, ed in questo i tsuzukiwaza ci possono essere molto utili ma anche la pratica da soli, infatti il primo passo rimane l’esercizio costante finalizzato al miglioramento di sé, il Doshu ha chiamato questo elemento Shugyo.

Se nel Dojo possiamo contare sui tsuzukiwaza, quando si lavora sull’Aikido nella vita reale invece l’elemento fondamentale è il tehodoki, che in giapponese rappresenta la capacità di liberarsi dalla presa.
Se si osserva questa pratica in altre arti marziali la si troverà quasi sempre concatenata ad una manovra difensiva, agli atemi, a prese o strangolamenti con finalità di opporre una reazione immediata ad un attacco.
Nel nostro caso l’accezione del tehodoki mi è sembrata completamente diversa, liberarsi da una presa è anzitutto un diritto che possiamo esercitare liberamente come esseri umani (a differenza di proiettare) e successivamente è qualcosa che permette a nage di cambiare la mente di uke, consentendogli di uscire da una situazione di pericolo, andando via o vanificando completamente l’attacco che si esaurisce senza recare danno.
Durante il seminario abbiamo visto applicato il tehodoki a partire da diverse situazioni, originate da tutte quelle prese che siamo soliti studiare nei tsuzukiwaza e quindi nell’Aikido del dojo. Abbiamo anche accennato ad un lavoro che vede nage maggiormente proattivo nei confronti di uke, studiando forme come koteoroshi, ikkyo, nikkyo e sankyo senza partire da nessun attacco particolare.

Lo ribadisco, lo scopo di questo lavoro non mi è sembrato quello di eliminare le cadute per preservare le articolazioni di praticanti più avanti con gli anni, o peggio ancora di abbandonare la pratica dei tsuzukiwaza, questi ultimi anzi sono da considerarsi propedeutici e quindi vanno praticati e conosciuti a menadito, soprattutto dai più giovani. Il lavoro al dojo deve permettere di acquisire degli strumenti che permettano davvero di creare nella vita reale “una situazione in cui l’attacco non si sviluppi”, come si diceva qualche anno fa.
La meditazione per creare un futuro migliore per sé e per gli altri

All’interno di questo lavoro estremamente tecnico hanno trovato posto insegnamenti peculiari del Doshu, che ha spaziato dalla meditazione, al senso del termine “pulire”, all’importanza della collaborazione fra i praticanti dentro e fuori dal tatami.
Una mattina Sensei ha spiegato che il concetto di non avere pensieri durante la meditazione non significa affatto soffocare i pensieri per avere la mente vuota ma bensì avere la capacità di produrre nuovi pensieri non attaccandosi e non rigenerando quelli vecchi. Pensieri nuovi producono una immaginazione nuova e quindi una mente positiva, ovvero una mente proiettata nel futuro, che immagina il futuro. La conclusione estrema di questo ragionamento è che ognuno di noi dovrebbe immaginare il proprio futuro, ma anche quello delle persone care, dei figli o degli allievi quando noi non ci saremo più, fino addirittura a preparare la propria morte in modo tale che questa non lasci chi ci sta intorno nella confusione o con problemi da gestire.
Per supportare quest’idea secondo cui bisogna pensare al futuro già nel presente il Doshu ha anche raccontato una storia che qui non ho il tempo di raccontare (magari provvederò in un altro post) ma che coinvolgeva un giovane samurai, un vecchio samurai ed i lavori per costruire un nuovo ponte, storia che ho trovato molto rappresentativa della nostra situazione attuale.
La meditazione serve a produrre pensieri nuovi, con i quali è possibile avere una nuova immaginazione e quindi immaginare un nuovo futuro.
A testimoniare che il Doshu sta pensando molto, soprattutto negli ultimi anni, al futuro della nostra Scuola , c’è il fatto che uno dei temi che ha trattato con maggiore insistenza riguardasse l’importanza di cooperare e di aiutare e di quanto questo faccia bene a volte più a chi fornisce aiuto che a chi lo riceve. Questo concetto, nella mia vita di aikidoka soprattutto come ukemi, è stato fondamentale, penso di dover molto della mia capacità di fare ukemi in termini di equilibrio e di capacità di creare contatto agli anni di pratica con Adriano, un praticante disabile del kidojo.
Vorrei chiudere questa prima parte dell’articolo spendendo una parola per gli organizzatori del seminario, in particolar modo Marijan, che tra mille difficoltà, da quelle organizzative a quelle atmosferiche, hanno lavorato e sudato molto per garantire l’ottima riuscita del seminario e per far sentire tutti i praticanti a casa. Hvala!

Post Scriptum, Consigli pratici per il seminario

Sperando di avervi messo un po’ di voglia di partecipare all’edizione del prossimo anno vi lascio qualche considerazione pratica che potrebbe esservi utile nell’organizzazione del viaggio:
- Il seminario viene tenuto a poco meno di mille metri d’altezza, il tatami viene montato su pedane di legno ed è riparato dalle intemperie da un tendone con struttura in acciaio che lo rende praticabile anche con la pioggia (sperimentato quest’anno).
- Malgrado si svolga in estate piena non dimenticate che durante la pratica siamo in montagna e che quindi il tempo può cambiare molto velocemente, si consiglia di portarsi un poncho per la pioggia e qualcosa per coprirsi a fine della lezione serale nelle giornate più fresche.
- Poco lontano dal luogo di pratica si trova un ostello che viene normalmente riempito dai praticanti, altre sistemazioni prevedono aree attrezzate con tende e hobbit houses, sono scelte ottime se volete stare nel budget o se volete godervi il seminario in modo intensivo.
- La cittadina più vicina è Karlobag ed è affacciata sul mare, si raggiunge in circa 15-20 minuti di macchina, su agevoli tornanti, un appartamento in paese è un’alternativa validissima se si vuole godere del mare nelle pause, per non parlare degli ottimi ristorantini specializzati in piatti di pesce locale (se siete vegetariani però dovrete accontentarvi di una minor scelta nell portate).
- L’acqua a Karlobag è pulitissa ed i fondali sono spettacolari, la visione con un paio di occhialini o una maschera lascia a bocca aperta, tuttavia l’assenza di sabbia e la presenza di scogli e ricci consiglia di dotarsi di scarpette da scoglio in gomma (oltre che di un materassino di spugna per sdraiarsi a prendere il sole).
- In Croazia la moneta corrente è la Kuna, quotata all’incirca un settimo di euro, tenete conto che questo valore è piuttosto indicativo e varia a seconda del tasso di cambio e delle commissioni. Molti negozianti accettano anche euro, ma i tassi applicati in questo caso non sono vantaggiosissimi.
- Riguardo al viaggio, se provenite in macchina dall’Italia tenete presente che alla frontiera croata vi chiederanno un documento di identità (va bene carta d’identità o passaporto, generalmente non accettano la sola patente di guida).
- Sempre per chi proviene in macchina dall’Italia, la Slovenia è il posto ideale dove fare rifornimento di carburante per le tariffe molto basse, tuttavia il tratto Sloveno per accedere alla Croazia, di poche decine di km, se non eviterete l’autostrada vi costerà almeno 8 euro di Vignetta/pedaggio. E’ possibile trovare dei percorsi in statale che allungando di poco evitando l’incomodo.
- Facendo pause molto comode e cambiando guidatore un paio di volte il nostro tempo di percorrenza da Firenze è stato di poco meno di 10 ore.