Ero troppo piccolo ai tempi per avere più di un vago ricordo dei programmi televisivi di Renzo Arbore, veri e propri cult dei primi anni 80, che hanno dato vita a tormentoni che oggi definiremmo virali.
Ero però abbastanza cresciutello quando, ad inizi 2000, lo stesso Arbore partorì una trasmissione chiamata “meno siamo e meglio stiamo”. L’audience di “quelli della notte” era un lontano ricordo ma proprio per questo, come sottolineava già il titolo, era possibile proporre al suo interno materiale più ricercato, destinato ad una fetta di pubblico ristretta e dai gusti decisamente non mainstream.
Nel mondo dell’Aikido, da anni noi istruttori ci affliggiamo con il tema della “perdita di popolarità” della nostra Arte Marziale. Basta farsi un giro su blog e social, in italiano come in inglese, o scambiare quattro parole durante un seminario per essere investiti in pieno dal ritornello dei tatami svuotati e del rimpianto di una mitologica età dell’oro.
Vorrei essere chiaro su un aspetto, mi sono ritrovato, come molti, a fare lezione ad una sola persona o ad un tatami vuoto magari dopo aver fatto i salti mortali tra lavoro e traffico per essere sul tatami in orario. Chi ha insegnato Aikido ci è passato, a chi non ci è passato dico in totale franchezza che non è bello per niente.
Seppur con alcune distorsioni di percezione (vedi grafico sottostante), il fenomeno della diminuzione del numero dei praticanti è reale. Purtroppo però assolutizzare l’idea di dover essere popolari a tutti i costi finisce solo per alimentare un senso di colpa e quasi un complesso di inferiorità nei confronti di altre discipline più di grido.

Io non sono stato immune a questo patimento. Ricordo benissimo i tempi in cui da istruttore ventenne, passavo con altri volenterosi intere serate ad interrogarmi su quale fosse il problema. La didattica? Lezioni poco intense? Troppo intense? Serve più disciplina? Ne serve meno? Serve più pubblicità?
Insomma un turbine di domande senza fine e spesso senza senso.
Un aspetto positivo di tutto ciò è che per anni mi sono chiesto cosa potessi cambiare per migliorare l’insegnamento (ed ancora me lo chiedo) e questo mi ha portato ad imparare molto sulla didattica e sulla relazione con gli allievi. Mettersi continuamente in discussione è un aspetto di crescita molto importante ma essere ossessionati da un target ideale, da un numero, può trasformarsi in un chiodo fisso (un punto) che ci impedisce di guardare al quadro complessivo.
Perciò se potessi dare un consiglio al me stesso di quei tempi mi direi “fottitene dei numeri” (perdonate il francese).
Mi spiego meglio.
Quali sono i motivi per i quali si desidera avere più/tanti/molti allievi?
Una delle ragioni più ovvie, anche se forse non la più rilevante, è economica. Più allievi vuol dire potersi permettere spazi migliori, in orari più comodi, magari autofinanziarsi come istruttore anche qualche seminario, la benzina per venire a lezione o i costi associati alle certificazioni necessarie ad insegnare.
E’ una motivazione legittima ma a conti fatti, a meno di non voler far diventare l’Aikido una professione, è sufficiente un numero di allievi piuttosto esiguo per assicurare la semplice sostenibilità economica di un corso. Volendo semplificare (molto) si può dire che è sufficiente avere gli allievi necessari a coprire il costo dell’affitto dei locali, che in genere è la voce di costo principale.
Credo però che ci siano anche motivazioni molto meno ovvie e più sottili.
Il mondo che ci circonda ci spinge quotidianamente a relazionarci con l’ambiente circostante da consumatore (o erogatore) di prodotti o servizi, rispetto ai quali possiamo avere una esperienza (intesa come customer experience) più o meno soddisfacente che, in estrema sintesi, è ciò per cui siamo disposti a pagare. Quando l’esperienza peggiora ci si rivolge altrove, ad esempio si cambia il cellulare quando (in genere dopo un paio d’anni) smette di funzionare in maniera soddisfacente.
Lungi da me volermi avventurare in una disamina sul consumismo nella società moderna qui, non credo che ne sarei nemmeno in grado. Mi limito a dire che questo tipo di logica che funziona benissimo per il nostro cellulare, per scegliere un ristorante o per decidere quale serie tv seguire, funziona tremendamente male con l’Aikido e non solo con quello. Il motivo è presto detto, possiamo comprare un dogi di ottima qualità online oggi e riceverlo in poche settimane direttamente dal Giappone, ma migliorare le tecniche è compito nostro e richiede anni, cioè un enorme investimento in un mondo di offerte fast food.
L’Aikido non può funzionare come un prodotto e pertanto è miope aspettarsi che segua logiche commerciali. Certamente nel suo passato questa disciplina ha vissuto momenti di popolarità, tanto che abbiamo tutti in mente l’idea romantica dei tatami pieni, dei raduni oceanici e del seguito creato dai grandi maestri di un tempo. Io penso che, seppure con tutte le sue evoluzioni ed i fisiologici mutamenti, l’Aikido ed il suo messaggio siano rimasti gli stessi nel tempo, a cambiare è stato solo il mercato di riferimento, in altre parole è cambiata la moda dei “consumi”. Il successo commerciale rievocato è stato un effetto collaterale, più che una caratteristica peculiare dell’Aikido di un tempo.

Se ci pensiamo è una ovvietà, un maestro non andrebbe valutato per il numero dei suoi allievi (o follower) ma semmai per cosa trasmette loro e questo vale tanto ora quanto valeva negli anni 50, 70 o 90.
Certamente, fare lezione ad un tatami pieno è una bella soddisfazione sia creativa che personale, però credo che per un istruttore sia più importante la relazione con i propri allievi, allo scopo di riuscire a fornire loro un ambiente sicuro da tutti i punti di vista e nel quale poter lavorare su se stessi, attraverso l’Aikido, per il tempo che decideranno e, se lo vorranno, col nostro aiuto.
Sia chiaro, non sto dicendo che dobbiamo fare i radical chic o gli eremiti, rifiutando il confronto col mondo e respingendo i nuovi praticanti, tutt’altro: se la nostra è un’Arte di relazione è essenziale costruire prima nel proprio dojo e poi fuori un tessuto relazionale forte. Per riuscirci però occorre conoscere i propri allievi, interessarsi a loro anzitutto come persone, intrecciare assieme a loro quel tessuto relazionale ed è più semplice fare tutto ciò quando si hanno davanti 4 persone di quanto non sia con 40 (pensate anche solo ricordarsi tutti i loro nomi! 🙂 ). La folla sul tatami arriverà, o forse no, ma decisamente non avrà importanza quanto rialzarsi da una brutta caduta ed incrociare lo sguardo di un amico a cui interessa sapere se è andato tutto bene.
Se poi vi viene voglia di praticare in un tatami bello pieno il mio consiglio è molto semplice. Alzate il telefono (o scrivete una mail) e contattate un altro responsabile di dojo con cui avete un buon rapporto o col quale praticate volentieri ai seminari e chiedetegli se gli va di organizzare con voi un mini-seminario aperto agli allievi dei vostri corsi, magari coinvolgete più dojo e metteteci sopra pure una tappa in un ristorante di zona.
I risultati potrebbero sorprendervi (come potete leggere nella sezione On Tour).