Credo di aver detto e ripetuto in tutte le salse di quanto abbia sempre adorato l’hard rock anni 70, per questa mia insana passione il mio maestro Beppe mi chiamava “Led Zeppelin” e diceva, qualsiasi cosa volesse dire, che il mio era un Aikido psichedelico. Ad oggi poche definizioni mi risultano altrettanto care di questa.

Tuttavia come ogni amante di quella musica sa, non ci sarebbero stati i Led Zeppelin se i The Who, con il loro album d’esordio “My Generation” (Brunswick Records 1965) non avessero portato una vera e propria frattura con il panorama musicale del tempo. Tanto per dare un’idea, a parte Rolling Stones e Beatles che erano già in giro già da un paio d’anni, moltissimi “classici” vennero dopo, ad esempio: Freak out (Frank Zappa) e Fresh Cream (Cream) sono del 66, mentre è del 67 il debutto dei the Doors, Jimi Hendrix, Pink Floyd, Steppenwolf e Traffic, solo per dirne alcuni, mentre per i miei amati Led Zeppelin occorre aspettare addirittura il 69.
I The Who hanno insomma fatto la parte del leone in un vero e proprio passaggio generazionale sia musicale che culturale.
Ed è proprio di passaggio generazionale che voglio parlare in questo articolo, prendendo spunto dal bel seminario tenuto dal Doshu al Pala Lilly di Sesto Fiorentino il 22-23 Febbraio.

All’interno del percorso proposto dal Doshu c’è sempre stata, da che ho memoria, una particolare vena innovativa e originale, mi ha sempre colpito la sua particolare attenzione rispetto all’evoluzione dell’Aikido, visto non come oggetto statico da preservare sotto vetro per i posteri, ma come Arte viva che come tale segue una sua naturale evoluzione. Da qualche anno però questo tema ci viene proposto con particolare enfasi a tutti i suoi eventi, durante il seminario di Velebit ad esempio, Sensei ha raccontato un aneddoto più o meno storico che raccontava le gesta di un giovane samurai incaricato di costruire un acquedotto tra la diffidenza e l’ostilità dei samurai più anziani.
Anche in questo seminario toscano, Sensei ha toccato l’argomento in un modo come sempre personale che cercherò di riassumere fedelmente ma senza alcuna pretesa di esaustività. Il tema proposto è che la Scienza ci permette tipicamente di riconoscere con certezza ciò che è pericoloso, dannoso o inutile ma per riconoscere cosa è utile o salutare l’essere umano si è sempre basato sulle tradizioni, cioè su consuetudini consolidate attraverso secoli come la produzione del vino (o la dieta mediterranea). Tuttavia l’Aikido ha solo un centinaio di anni di storia e pertanto non può vantare ancora una vera e propria tradizione consolidata. Per questo motivo l’Aikido è tuttora in continuo sviluppo e l’intenzione dichiarata di Sensei è proprio quella di aiutare le giovani generazioni a creare un nuovo Aikido che sia una evoluzione ed un miglioramento dell’Arte.

Io personalmente trovo che questa sia una fantastica dichiarazione di intenti, non tanto perché io mi consideri (più o meno) parte della nuova generazione per motivi anagrafici (classe 1983), ma soprattutto perché, a mio modo di vedere, ciò di cui la mia generazione ha sempre sentito la mancanza è proprio una visione al futuro (piuttosto che al passato) soprattutto da parte delle generazioni precedenti.
Viviamo un mondo in profondo e continuo cambiamento e sarebbe un errore capitale guardare al presente come qualcosa di imperituro che è destinato a ripetersi e protrarsi sempre uguale a sé stesso. Domani sarà molto diverso da oggi e questo senso di precarietà o per meglio dire di transizione lo conoscono bene soprattutto quelli della mia generazione (cioè i nati negli anni 80) essendoci arrivati per primi ma forse lo percepiscono addirittura di più quelli nati dopo.
Questo ovviamente non vuol dire un rifiuto iconoclasta di chi è venuto prima di noi, anzi tutt’altro, siamo tutti poggiati “sulle spalle dei giganti” ed è necessario ricordare da dove veniamo, però è altrettanto necessario darsi delle mete, degli obiettivi da perseguire nel nostro futuro che siano diversi da quelli dei nostri predecessori. E’ necessario insomma soprattutto per i più giovani trovare la propria Via, il proprio do o se preferite il proprio michi, riprendendo quanto detto da Sensei durante l’ultimo seminario a Prato.
Come disse Mahler “La tradizione non è il culto delle ceneri, ma la custodia del fuoco”, come è noto il fuoco per bruciare ha bisogno di essere alimentato e di “respirare”, adesso sta a chi ha le energie e la volontà l’arduo compito di trovare nuovi modi di far bruciare la fiamma e contribuire a creare quella tradizione di cui il Doshu parlava, non possiamo tirarci indietro.

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