Molti anni fa, quando andai a vivere a casa di un amico, per un periodo avevamo organizzato con altri ragazzi un appuntamento fisso tutti i sabati mattina che chiamavamo “il cineforum”. Ci trovavamo cioè sul divano di casa nostra a guardare dei film che sceglievamo seguendo essenzialmente due criteri: che fossero vicini al nostro gusto post-adolescenziale (azione, fantasy, arti marziali, ecc.), ma pure al di fuori del circuito mainstream. Insomma, dei B-Movies o delle chicche sconosciute scovate tra gli scaffali dei videonoleggi.
Scambiandomi dei consigli cinematografici con Francesco Ingemi, mi è tornato in mente quel periodo e ho riflettuto che in futuro sarebbe bello – dove la sede lo consente – organizzare durante i seminari anche delle proiezioni di film a tema samurai o più in generale Giappone.
Nel frattempo, ho pensato di chiedere la preziosa consulenza di Francesco per stilare un elenco di titoli della cinematografia giapponese che appartenessero al genere Jidai Geki (film in costume), ma non solo, e che allo stesso tempo fossero semi o del tutto sconosciuti in Italia. Senza però scadere nel trash (per quanto Ninja contro Alieni sia un film che una volta nella vita consiglio a tutti).

Un ronin si presenta al cospetto di una nobile casata chiedendo di poter compiere seppuku a causa della situazione di miseria e disgrazia nella quale è precipitato dopo la morte del suo signore.
Premio speciale della giuria a Cannes nel 1963, Harakiri è un film monumentale e magnifico. Il nitore della fotografia in bianco e nero, le scenografie, l’uso della colonna sonora, l’intensità dei dialoghi e quella delle scene di combattimento…tutto contribuisce a creare un’opera dalla potenza visiva assoluta. Ma ciò che colpisce di più è l’intreccio epico, basato su una serie di flashback sovrapposti che conducono lo spettatore fino alla rivelazione finale, vero e proprio attacco alla deriva formalista e ipocrita del codice dei samurai.
Un grazie di cuore a Francesco per avermi fatto scoprire questo capolavoro.

Una bella gita in barca a vela si trasforma in un incubo. I sette partecipanti naufragano infatti su un’isola deserta dove crescono dei funghi velenosi che se mangiati prendono il controllo della mente delle persone, mostrando loro delle illusioni basate sui loro desideri e paure e trasformandole in orribili uomini-fungo.
Detta così sembra una tavanata galattica, ma Matango negli anni è diventato un cult del genere horror-fantascientifico giapponese. I temi di fondo poi sono tutt’altro che scontati: dall’ambiente sconvolto dalle solite radiazioni nucleari al sistema valoriale degenerato di una società nel pieno della trasformazione del secondo dopoguerra.

Nel diciasettesimo secolo, i due giovani gesuiti portoghesi Rodrigo and Garrpe si recano in Giappone per convertire la popolazione al Cristianesimo e cercare il loro padre spirituale, Cristóvão Ferreira, missionario come loro. Di Ferreira infatti non hanno notizie da cinque anni e presumono sia stato imprigionato dalle autorità locali che perseguitano i missionari e la popolazione convertita.
Nel 2016 anche Martin Scorsese ha realizzato un film tratto dal romanzo storico Silenzio del giapponese Shūsaku Endō, ma trovo che il suo predecessore, pur essendo più duro e meno spettacolare, esprima meglio le complesse tematiche della vicenda, prima fra tutte quella della compatibilità tra la fede cristiana e l’identità giapponese. Ma anche l’ingiustizia del mondo e l’apparente silenzio di Dio di fronte ad essa.

Lo Shogun è stato assassinato e i due figli si trovano l’uno contro l’altro, ma dietro questa sequenza di avvenimenti si cela un complotto che ha come scopo il controllo del potere.
Yagyū Munenori è stato il maestro di spada del figlio dello Shogun Tokugawa Ieyasu nonché uno degli artisti marziali storicamente più celebri per la sintesi tra Zen e arte della spada (suo il testo Heihô Kadenshô – La Spada che dà la vita). Curiosamente nella cultura di massa giapponese non mancano le opere (una tra tutte Ogami Itto) in cui il clan Yagyu è descritto come un gruppo di oscuri burattinai orditori di complotti. Il ruolo del protagonista qui è assegnato al grande attore di film di arti marziali Sonny Chiba, celebrato da Quentin Tarantino nel ruolo di Hattori Hanzo in Kill Bill Volume 1, che tra l’altro nella colonna sonora riprende anche il tema principale di The Yagyu Conspiracy.

Sareste in grado di scegliere il più bel ricordo della vostra vita? Delle persone defunte da poco si ritrovano in uno strano edificio che in realtà è un limbo nel quale, aiutati da un gruppo di spiriti guida, avranno pochi giorni di tempo per scegliere il ricordo più bello della loro vita. Una volta deciso, esso sarà ripetuto e immortalato attraverso una ripresa cinematografica affinché le anime dei defunti ne possano godere come unico ricordo per l’eternità.
Un film che è stato paragonato a Sussurri e Grida di Ingamar Bergman e considerato uno dei capolavori del cinema giapponese contemporaneo.

6) AFTER THE RAIN (Ame Agaru) – 1999
La piena di un fiume dovuta alle forti piogge impedisce al ronin Ihei Misawa e alla moglie Tayo l’attraversamento con il traghetto e li blocca nella locanda vicina all’imbarcadero. Sarà l’occasione per avvicinare il nobile Shigeaki e iniziare forse una nuova vita.
Ultima sceneggiatura scritta da Akira Kurosawa e diretto dal suo assistente Tadashi Koizumi, il film è un omaggio totale al grande maestro e si caratterizza per un approccio più intimista genere “cappa e spada” giapponese. La traduzione più corretta del titolo originale sarebbe infatti “Durante la piena”. Perché il fato domina e trascina la vita degli uomini con forza e indifferenza, esattamente come farebbe un fiume in piena. Particolare menzione merita il duello con i bokken davanti al clan, sorta di citazione di quello de I sette samurai: anche stavolta il vincitore è colui che dimostra di non aver bisogno di colpire l’avversario.

Seibei è un samurai appartenente a un prestigioso clan, costretto però dalla morte prematura della moglie ad un oscuro lavoro amministrativo e a prendersi cura delle due figlie e dell’anziana madre. Gli altri samurai lo prendono in giro chiamandolo “Seibei del tramonto”, appunto perché la sera deve sempre tornare a casa presto e non può adempiere agli obblighi previsti dalla vita sociale del suo gruppo che tra l’altro gli consentirebbero l’accesso ad una carriera assai più remunerativa. Ma il ritorno in circolazione di una vecchia fiamma darà il via a una serie di eventi che metteranno in mostra il suo valore di spadaccino e lo costringeranno a nuove scelte.
Un gran bel film, in cui la storia ambientata alla metà dell’Ottocento (e il titolo è un gioco di parole che rimanda al tramonto dell’era dei samurai), potrebbe essere tranquillamente quella di un sarariman contemporaneo. Molto bella anche la colonna sonora.

Un giovane violoncellista di Tokyo si trova improvvisamente disoccupato e decide di tornare con la moglie al paese natale. In cerca di una nuova occupazione, risponde a un annuncio: “assistiamo coloro che partono per dei viaggi”. Il nuovo lavoro è quello di tanatoesteta, ma seppur ben pagato, non renderà così semplice la vita del protagonista.
Minuzioso nei dettagli (i lavori preparatori sono durati 10 anni), Okuribito è un film delicato, che racconta bene alcuni aspetti della cultura giapponese: il culto dei morti, l’importanza dell’onorabilità e quella della comunità che ha nella dimensione del piccolo centro (il villaggio) il suo elemento fondante. Premio Oscar 2009 come miglior film straniero (anche se qui da noi non se lo cagò nessuno).

Un anziano samurai ritiratosi dalle cose del mondo riceve l’ordine di uccidere il crudelissimo fratello minore dello Shogun. Per sconfiggere il numeroso esercito che gli fa da scorta assolda un gruppo di guerrieri dalle capacità eccezionali.
L’irriverente e talentuoso regista Takashi Miike, una specie di Quentin Tarantino nipponico, ha dichiarato: «Ultimamente ho il dubbio che proprio dall’amore nasca la violenza. In altre parole, sono la stessa cosa.» E in questo remake di un film omonimo del 1963 di amore, credetemi, ce n’è parecchio. Sangue e ammazzamenti vari in un tripudio di katane luccicanti e frecce saettanti. Una celebrazione dell’estetismo della violenza, sempre però controbilanciato da una buona dose di ironia.

Western e Jidai-Geki vanno a braccetto dalla notte dei tempi. Solo che stavolta non sono gli occidentali a copiare. Remake de Gli Spietati di Clint Eastwood del 1992 e ambientato nel Giappone degli inizi del periodo Meiji, il film è una replica fedele dell’originale tanto quanto Per un pugno di dollari lo era di Yojimbo.
Il protagonista è Ken Watanabe, già partner di Tom Cruise ne L’Ultimo Samurai. Forse appunto per via della sua faccia molto “americana” o forse perché il periodo storico è il medesimo così come la malinconia di un mondo condannato alla fine dall’arrivo della modernizzazione.