C’è solo una cosa peggiore dell’improvvisa scomparsa della persona che abbiamo seguito per così tanti anni, Yoshigasaki Sensei, e cioè la sensazione di non essere preparati a un evento tanto inaspettato.
Siamo stati colti di sorpresa, proprio come avvenne anni fa con Beppe.
Quindi ci troviamo adesso a un incrocio dove dobbiamo decidere del nostro futuro, quale strada intraprendere, e la mano che ci ha sinora condotto lungo il cammino non è più qui a guidarci. In qualche modo, ci sentiamo soverchiati dal peso della responsabilità di questa scelta, che mette tutti noi di fronte a un futuro assai incerto.
Il senso di responsabilità sarà la chiave per il futuro, ma ci tornerò sopra più avanti.
Siamo in un momento di crisi, questo è fuori discussione. Le crisi non sono necessariamente una brutta cosa, nella misura in cui ci forniscono l’opportunità di cambiare, di crescere e, come in questo caso, di prendere decisioni che riguardano noi, i nostri dojo e i nostri studenti. A questo punto infatti dobbiamo chiederci che cosa vogliamo per il futuro: vogliamo continuare a praticare Aikido? Continueremo a farlo senza un Maestro che ci guidi? E se riteniamo essenziale avere un leader da seguire…come troveremo quello giusto?
Ho praticato Aikido per oltre trent’anni e non è la prima volta che mi trovo a fronteggiare una crisi collegata alla pratica. Ora devo scegliere e prendermi la mia parte di responsabilità rispetto al futuro. Ho iniziato con l’Aikido tradizionale, ma dopo cinque anni ho sentito chiaramente che non ero soddisfatto di alcune delle cose che vedevo e così ho cambiato dojo. Non è stato difficile allora prendere una decisione, dato che non avevo avuto il tempo necessario per affezionarmi abbastanza al luogo e ai miei compagni di allenamento. Per i dieci anni successivi ho combinato Ki Aikido e Aikido tradizionale, ho avuto fantastiche esperienze, sono stato molto felice, ho avuto grandi amici e tanti bei ricordi, fino a quando non è stato nuovamente il momento di cambiare.
In quell’occasione la decisione non è stata facile, poiché mi lasciavo alle spalle molti amici e grandi esperienze, ma mi ero chiesto onestamente che cosa volessi fare, e la risposta era chiara nella mia testa.
Negli ultimi quindici anni quindi ho praticato esclusivamente Ki Aikido e, dopo la nostra “rivoluzione culturale”, Aikido con mente e corpo unificati o semplicemente Aikido senza alcuna etichetta.
Quindi anche in questa circostanza la decisione di continuare mi viene facile, perché fortunatamente non sono stato preso dal senso di delusione nel quale ho visto precipitare molti altri.
Una volta chiara l’idea di proseguire, la domanda che mi sono posto è come sviluppare il mio Aikido, il mio gruppo di studenti, il mio dojo? In breve: che cosa voglio per il futuro? Voglio che il mio Aikido continui ad evolversi nello stesso modo in cui il Doshu ha fatto evolvere il suo nel corso della vita.
A proposito di quanto ho scritto sopra, negli anni ho scoperto che c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare: un nuovo approccio, un concetto differente o un differente punto di vista. E una mente aperta, capace di guardare sempre con rinnovato interesse da una prospettiva diversa, può scoprire questa possibilità in ogni momento e in ogni luogo. Questa è ciò che nelle arti marziali viene chiamata “la mente del principiante”. E dovrebbe essere la consuetudine, durante un allenamento, una lezione o un seminario.
Questa è la ragione per la quale ho pensato di visitare altri dojo con i quali sentivo una certa affinità, cercando di stimolare la mia immaginazione e di aprire la mia mente, anche se erano lontani. Devo dire che non sono molti i posti nei quali non ho provato desiderio di andare, poiché in questi anni, ai seminari, ho incontrato tante persone interessanti e anche nel caso di alcuni che ancora non conosco personalmente, avrei comunque il piacere di incontrarli perché apprezzo molto quello che esprimono e sarei curioso di praticare con loro. Dopo aver visitato i dojo che mi interessano tornerò al mio e condividerò con i miei studenti quanto ho imparato.
Uno dei pilastri dell’aikido, per come lo intendo io, è quello di assumersi la responsabilità di trasmettere quanto si è sperimentato in un senso ampio: non soltanto la parte tecnica, ma anche i valori e i principi che si apprendono senza parole, vivendoli in prima persona dentro e fuori dal tatami.
L’altra cosa che ho imparato è che se vuoi qualcosa devi muoverti per averla. È raro nella vita ottenere qualcosa senza lavorarci sopra. Questo aspetto è collegato a quanto detto sopra: solo lasciando la nostra comfort zone e assumendoci nuove responsabilità potremo scoprire un nuovo orizzonte, nuove opzioni e nuove possibilità.
Io, ad esempio, mi sono avvicinato al Ki Aikido perché frequentavo un corso di Kyudo e uno degli allievi stava praticando Ki Aikido. E come mai mi ero interessato al Kyudo? Tramite il mio primo insegnante di Aikido tradizionale. Una cosa porta all’altra e così il mio percorso nelle arti marziali si è sviluppato. Quando guardo quel percorso da una prospettiva diversa, mi sembra che esso si sia modellato secondo una forma che è frutto delle decisioni che ho preso e delle responsabilità che mi sono assunto.
Così è. Senza prendere decisioni o assumersi responsabilità non esisterà alcun percorso per nessuno di noi.
Ecco, io voglio condividere l’Aikido che ho appreso in tutti questi anni dal Maestro Yoshigasaki, da Beppe Sensei e così via con quante più persone possibile. Perché credo sinceramente che l’Aikido che ho praticato, frutto dell’incontro di percorsi differenti, abbia cambiato la mia vita e che questo cambiamento sia stato positivo.
Lasciare la propria comfort zone è la cosa più difficile da fare e richiede un atto di responsabilità che, bene o male, costa “un poco” a chiunque non sia solito assumersene perché c’è qualcun altro che ha sempre deciso al posto suo.
Dal principio sino ad oggi il Doshu ha preso tutte le decisioni in merito alla linea da tenere per la nostra scuola. Ora è il nostro turno di decidere e di assumerci delle responsabilità, se vogliamo avere un futuro come organizzazione.
Beppe in un video affermava che ciò che provava facendo Aikido erano pace e amore nei confronti di tutti e che quando quel sentimento diventa profondo, esso può essere condiviso con gli altri, generando un cambiamento.

Ecco, io voglio condividere l’Aikido che ho appreso in tutti questi anni dal Maestro Yoshigasaki, da Beppe Sensei e così via con quante più persone possibile. Perché credo sinceramente che l’Aikido che ho praticato, frutto dell’incontro di percorsi differenti, abbia cambiato la mia vita e che questo cambiamento sia stato positivo.
Voglio fare del mio meglio per trasmettere anche una minima parte di quanto questi grandi maestri mi hanno dato e continuerò a condividere nuove cose nel futuro.
Questo è il mio impegno rispetto alla pratica dell’Aikido.
Per realizzare questo obiettivo è preferibile, se non essenziale, che esista un’organizzazione a cui fare riferimento. Quindi le presone che vogliono farne parte devono definirne le caratteristiche. È necessario che ci sia un leader a dirigerla? Oppure può funzionare senza un vertice, ma solo basandosi sull’impegno e sul senso di responsabilità di coloro che ne fanno parte?
Beppe era solito dire: il dojo non è tanto il luogo dove si pratica quanto il gruppo che lì si reca per allenarsi…
Credo che l’organizzazione dopo la morte del Doshu debba essere qualcosa di più di un nome o di una persona specifica che ne definisca l’identità, poiché la sua reale forza e il suo valore si misurano sulla base del gruppo di persone che lavorano affinché essa vada avanti. Senza differenze di età, grado, esperienza o posizione, ma tutti dando il proprio meglio affinché la fiamma che illumina la Via resti accesa. Mi piace quest’idea 😊 e rimarrò in quell’organizzazione cercando di dare una mano in ciò che posso, perché il futuro è nelle nostre mani ed è arrivato il momento di dimostrare che siamo abbastanza maturi da camminare insieme il sentiero, supportandoci l’un l’altro e assumendoci con rinnovato entusiasmo la responsabilità del nostro destino.
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